«Non voglio fare polemiche con nessuno, men che meno con il ministro della Giustizia: però il dato che abbiamo sotto gli occhi è un dibattito giurisprudenziale e dottrinale che va avanti sostanzialmente dal 1930 sulla possibilità di configurare il concorrente esterno nel reato e il concorrente esterno nel reato associativo. E la giurisprudenza, per lo meno, negli anni Novanta, è assolutamente consolidata nel fatto di ritenere configurabile questa figura di reato che non riguarda tanto il reato di associazione mafiosa quanto il cosiddetto 110 codice penale, cioè il concorso». Così il procuratore capo di Palermo, Maurizio De Lucia, intervistato da Sky Tg24
«Mi spiego con un esempio - ha aggiunto De Lucia - In un omicidio io punisco certamente chi spara ma se c’è un soggetto che consapevolmente dà la pistola a quello che deve sparare sapendo che può ammazzare qualcuno, quello pure risponde di omicidio in concorso, non compie l’azione materiale ma crea le condizioni perché l’omicidio venga posto in essere in quel modo. Allo stesso modo un soggetto, un professionista, un notaio, un imprenditore che svolge una attività sistematica di consulenza o di appoggio con le sue imprese dà un contributo stabile all’organizzazione mafiosa e francamente, costituzione alla mano, non si vede perché il bene giuridico dell’ordine pubblico non debba essere tutelato da quello che è, con una brutta parola che usano i giuristi, si chiama combinato disposto delle due norme 416 bis e 110». «Poi in concreto in un dibattito fondato sulle carte e sullo studio - ha concluso De Lucia - ipotesi di maggiore tipicizzazione della fattispecie si possono individuare sfruttando anche la giurisprudenza che c’è ormai da decenni. Ma anche qui, pensare a una non più ipotesi di non perseguire determinate condotte con questo strumento mi pare anche al punto di vista scientifico assai difficile da realizzarsi».
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