Parte da Palermo una petizione per la stabilizzazione di 20 giovani laureati in jazz nelle 58 orchestre lirico-sinfoniche dislocate in tutta Italia con conseguente possibilità di creare ben 1.200 nuovi posti di lavoro. Per estendere l’offerta musicale dei 58 enti di produzione italiana, alle musiche del nostro tempo (da Duke Ellington a Wayne Shorter, da Burt Bacharach a Stevie Wonder, da Armando Trovaioli a Piero Piccioni). L’appello è di Ignazio Garsia e nasce dopo «l’ennesima bocciatura - si legge in un comunicato - della Fondazione The Brass Group (la prima nel 2018) da parte del Ministero dei Beni Culturali».
«La musica è una cosa meravigliosa, aiutami affinché arrivi a tutti» è il messaggio che ha scritto il musicista siciliano nel chiedere di sottoscrivere il suo appello. «Oggi - afferma - è fondamentale porre delle basi concrete lavorative rivolte ai giovani laureati in musica Jazz dei conservatori italiani e degli istituti musicali. Èimportante per ciò creare un nuovo indotto lavorativo rivolto ai giovani musicisti».
Il testo della petizione
È trascorso oltre un secolo da quando, grazie alla fusione di più tradizioni musicali di vari continenti, è nata la musica jazz. Che durante il secolo scorso avrebbe generato tante altre forme musicali tutte, comunque, derivanti dal jazz: il blues, la world music, il rock, ecc. In una parola, le musiche del nostro tempo. Nel Novecento nasce anche un altro nuovo linguaggio d’arte: il cinema. La cui produzione, a differenza delle musiche del nostro tempo, è regolarmente promossa e sostenuta dallo Stato attraverso il FUS, grazie alla legge 220/2016. In pratica, dal punto di vista produttivo, lo Stato sostiene tutti i linguaggi d’arte del Novecento e dei secoli scorsi, il Cinema, il Teatro, la musica di genere lirico-sinfonico, tranne la produzione del genere jazz e la musica d’arte di sua derivazione. Perché? Perché la musica pop si finanzia da sé e non avrebbe bisogno di risorse pubbliche (Duke Ellington = pop music).
Questi sono gli argomenti che alcune lobby e alcuni sindacati di rappresentanza del genere lirico-sinfonico sostengono alle forze politiche per difendere uno status del comparto produttivo musicale. Semplicemente incostituzionale.
Necessita innovare l’offerta musicale nel nostro paese attraverso il consolidato sistema produttivo nazionale, attraverso l’estensione degli organici orchestrali delle 58 orchestre sinfoniche a 20 strumentisti laureati nei nuovi linguaggi musicali garantendo oltre 1200 posti di lavoro con un investimento di 50 milioni di euro che rientrerebbe nelle casse pubbliche con le maggiori entrate dirette degli stessi enti, grazie ai consensi e agli apprezzamenti conseguenti a un’offerta musicale piú rispondente ai bisogni della collettività.
Quel che rimane di un Paese, prima che la sua Storia sia riscritta nel corso del tempo - quando guerre, carestie di risorse, catastrofi naturali incombono sulla vita delle persone - sono le opere d’arte, che hanno sguardi sul presente e visioni future lungimiranti, create da sensibilità e competenze che debbono, e possono, essere sostenute per mantenerle vive. Sostenere le arti, i loro linguaggi che si modificano, le culture generazionali dà corpo e senso alla scelta dei popoli di resistere alle ingerenze, alle incombenze e ai disastri.
Il Pnrr destina alla Cultura 4,275 miliardi di euro cui si sommano nel Fondo Complementare gli investimenti del Piano strategico «Grandi attrattori culturali» per 1,460 miliardi di euro (oltre al Fondo Unico per lo Spettacolo nel 2021, pari a € 408,4 mln). Nonostante un impegno finanziario senza precedenti nella storia della Repubblica, non si comprende perché non sia avvertito il bisogno d’innovare la produzione musicale del Paese, orientata solo verso generi musicali dei secoli scorsi.
Il sistema produttivo nazionale è assicurato da 58 enti di produzione, dotati di teatri, maestranze artistiche, tecniche e amministrative che assicurano all’intero territorio nazionale uno straordinario servizio di rilevante interesse culturale. In particolare, nel nostro Paese operano 14 fondazioni liriche, 30 teatri di tradizione e 14 orchestre sinfoniche. Ognuna delle quali è dotata, oltre che di maestranze tecniche e amministrative di un’orchestra stabile costituita mediamente da organici di circa 50 professori d’orchestra, per complessive 3.000 unità lavorative. Tutto il sistema è controllato dal Ministero della Cultura.
Parimenti il Ministero dell’Università assegna l’Alta Formazione Musicale a una rete nazionale costituita da 73 Conservatori e Istituti Superiori di Studi Musicali che assicurano la formazione di musicisti di due grandi aree musicali. L’area cosiddetta classica - che include il genere lirico-sinfonico, cameristico, barocco e rinascimentale - e, grazie alla Legge 21 dicembre 1999, l’area di Musica Jazz e Nuovi Linguaggi Musicali che include le musiche di derivazione afroamericana e i nuovi linguaggi di derivazione eurocolta. Ne consegue che i laureati nel genere classico possono avere sbocchi professionali nelle 58 orchestre lirico-sinfoniche, mentre i laureati nel genere cosiddetto «jazz e nuovi linguaggi» sono condannati a una forma di ergastolo sociale o condanna alla disoccupazione a vita. E non solo.
L’offerta musicale non rispondente ai bisogni della gente, obbliga lo Stato a sostenere, sempre più, maggiori costi per mantenere in vita un servizio d'interesse «parzialmente» pubblico proprio perché destinato al pubblico della classica da un lato e, dall’altro, riservato a una sorta di casta della grande musica: gli interpreti della classica. Gli altri, per esclusione, apparterrebbero, evidentemente, a un genere musicale inferiore.
Dato che lo Stato già riconosce il genere jazz come linguaggio d’arte e ne prevede l’insegnamento e la formazione nell’ordinamento didattico, profondendo un impegno finanziario per il mantenimento dei 58 enti di produzione e dei 73 conservatori, di svariate centinaia di milioni di euro, viene naturale chiedersi cosa impedisce integrare di venti unità di strumentisti laureati in jazz, gli organici orchestrali degli enti pubblici, per adeguare l’offerta alla domanda di musica dell’intero Paese.
Considerato che il costo medio di un professore d’orchestra è di circa 40 mila euro, per 20 professori (l’organico di una big band di jazz) dà un costo complessivo di 800 migliaia di euro che, per 58 orchestre sinfoniche, somma un totale di 38,4 milioni di euro. Considerati anche i costi di 58 direttori artistici e dei relativi servizi di segreteria da affiancare ai consulenti artistici degli enti esistenti, complessivamente non si supererebbe l’importo di 50 milioni di euro.
Risolvendo contemporaneamente problemi culturali, sociali ed economico-finanziari, perché: si garantirebbe un’offerta musicale non più settaria ma più rispondente ai bisogni della collettività; si incrementerebbero sensibilmente, recuperando pure l’investimento iniziale, le entrate dirette degli enti preposti alla produzione musicale;▪ si assicurerebbe un futuro di lavoro a oltre un migliaio di musicisti jazz laureati nei Conservatori di Musica di Stato, ancor oggi senza sbocchi professionali; si accrescerebbe il livello di attrattività del sistema turistico e culturale del Paese attraverso la modernizzazione di infrastrutture, materiali e immateriali.
Tutto ciò senza dover creare altri 58 enti di produzione jazz, stante che il territorio è già servito da altrettanti teatri con relative strutture amministrative, artistiche e organizzative. In pratica si tratterebbe di ripetere la stessa esperienza vissuta per l’istituzione delle cattedre di jazz nei conservatori di stato e nei licei musicali. Anziché creare altre scuole di musica con un aggravio insostenibile di spese per locazioni, utenze, arredi, strumenti musicali, personale amministrativo e ausiliario, è stato sufficiente aggiungere circa 10 cattedre di jazz nei 73 conservatori per estendere lo studio dei nuovi linguaggi contemporanei in tutti gli istituti musicali del Paese. Risolvendo, in economia, l’adeguamento formativo ai nuovi linguaggi musicali.
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