Avete paura di andare in pizzeria perché poi non digerite e passate la notte con una sensazione di arsura? La colpa non è del vostro stomaco ma di una pizza di scarsa qualità. Imparate a diffidare dei locali che vi lasciano questi strascichi. Le pizzerie 2.0 degli anni Duemila sono i locali di eccellenza che ormai rivaleggiano con i grandi ristoranti. Grazie alla qualità degli ingredienti, alla preparazione, al servizio, hanno riscattato la parola stessa: pizzeria non è più sinonimo di un locale alla buona (con cattiva digestione annessa) ma è la porta per una ristorazione riconosciuta e apprezzata in tutto il mondo, il simbolo del made in Italy.
Vediamo allora i segreti di una pizza che non lascia strascichi...digestivi. Importante intanto è la cottura: sia nel forno a legna che nel forno elettrico, il bravo pizzaiolo sa come cuocere al meglio il prodotto; ci devono essere profumo, leggerezza e consistenza, gli elementi esaminati all’assaggio secondo le caratteristiche dei singoli stili di pizza. Poi conta anche il servizio: una delle ultime idee è stata la pizza servita in spicchi a degustazione. Un’arma all’epoca rivoluzionaria nel mondo delle pizzerie, con una base da condire principalmente fuori dal forno con abbinamenti pensati come per veri e propri piatti d’alta cucina.
Ma andiamo alla domanda iniziale. Come evitare la cattiva digestione? Il segreto sta nelle farine e nella lievitazione. Tutti conoscono la pizza. Ma non tutti sanno quali sono i fattori che rendono una pizza davvero buona, digeribile, soffice al punto giusto e croccante quanto basta. La risposta è semplice: sono gli ingredienti, ma soprattutto la qualità del grano utilizzato per fare le farine, a renderla speciale. Insieme a questo fondamentale aspetto, il trucco è nel tempo di lievitazione dell’impasto. Ci sono infatti nette differenze tra l’impasto della pizza con lievitazione di 12 ore e quello della pizza con lievitazione a 24 ore (preferibile).
E c’è ora chi allunga ancora i tempi e presenta impasti con 48 o 72 ore di lievitazione. Parliamo innanzi tutto, quindi, di lievito. Non tutti sono uguali, infatti. Cos’è il lievito di birra? I primi a scoprire il lievito di birra, furono gli antichi egizi in tempi lontanissimi (1500 a.C.). Questa tipologia di lievito arrivata fino ai nostri giorni è ad alta fermentazione. Il lievito di birra (Saccharomyces cerevisiae) è in realtà un fungo unicellulare responsabile della fermentazione, usato sin dall’antichità per la produzione di vino e birra, successivamente adottato in cucina per la lievitazione di farinacei (soprattutto pane). Esiste poi il lievito madre che assicura risultati migliori: contiene infatti batteri lattici la cui fermentazione produce acidi organici che riducono la possibilità di contaminazione del prodotto finale, regalando all’impasto della pizza una maggiore conservabilità e soprattutto una buona digeribilità. E questo fa la differenza!
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