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Riso, crudi e alghe: una storia secolare

Le prime tracce del sushi in Giappone nel 400 a.C. Era un metodo per conservare il pesce. Nel 1600 la diffusione

Sushi, che passione! Ma perché ha tutto questo successo nel mondo (e anche in Sicilia)? E qual è la sua storia? In Giappone la parola sushi significa letteralmente "acido" e si riferisce ad una vasta gamma di cibi preparati con riso e conditi con varie salse. Per rispondere alla prima domanda riflettiamo che sono in pratica solo tre gli ingredienti principali: riso, pesce, alghe. Ma la loro unione è perfetta nella forma, colore e sapore, tanto da aver conquistato milioni di fan in tutto il mondo. Viene a illuminarci uno studio della Società americana di chimica (American Chemical Society) che ha svelato in un video i segreti chimici che lo rendono così irresistibile per il palato. In sostanza, è una combinazione perfetta di sapori che si è formata nel corso dei secoli.
E andiamo alla seconda domanda. Le sue origini sono molto antiche e risalgono secondo alcune fonti addirittura al 300-400 a.C.: era in sostanza un modo per conservare il pesce. «Impacchettato» con il riso poteva infatti sopportare una fermentazione lunga anche un anno. Con questo processo i batteri 'buoni’ masticano i carboidrati presenti sul riso, trasformandoli in acido - in questo caso acido lattico - bloccando così l'avanzata di batteri pericolosi, come il botulino e altri.

All'inizio il riso del sushi non veniva mangiato ma gettato via, forse perchè dopo un anno diventava troppo vecchio e acido al gusto (da qui il significato di sushi in giapponese come dicevamo all’inizio). Ma dopo pochi secoli il sapore un po’ acidulo è diventato parte integrante del sushi, tanto che quello moderno viene insaporito con l'aceto. In sostanza il pesce crudo veniva disposto a strati con il sale alternato al riso e tenuto pressato per qualche settimana; in seguito veniva lasciato fermentare per mesi. Questo tipo di sushi esiste ancora oggi e si chiama narezushi.
Un’altra tradizione vuole che il sushi sia stato invece portato in Giappone da monaci buddisti tornati dalla Cina nel VII secolo dopo Cristo. Tracce più concrete si trovano nel 1600 quando si cominciò ad aggiungere aceto di riso per abbreviare i tempi di fermentazione del riso e il pesce veniva marinato o cotto. Fu soltanto intorno al 1820 che comparve ad Edo (l'odierna Tokyo) la ricetta più vicina al sushi moderno.

Secondo la tradizione, Hanaya Yohei è l’ideatore del nigirizushi, l’antesignano della modernità; fu il primo a servire sul suo banco bocconcini di riso aromatizzati all'aceto con sopra fettine di pesce crudo. Da allora la vendita del sushi per strada diventò un uso diffuso. Una cosa curiosa in Giappone era la tenda bianca fissata alle bancarelle sulla quale i clienti si pulivano le mani dopo aver consumato il sushi. Un sistema infallibile per individuare il miglior rivenditore, secondo scritti dlel’epoca, era quello di guardare la tenda: più era sporca, più il posto era frequentato e quindi, probabilmente, migliore il sushi. Da allora, il sushi si è diffuso in tutto il Giappone e poi in tutto il mondo dando vita a tantissime varianti, spesso adattate al gusto del paese che ospita la tradizione. In Italia ha preso sempre più piede a partire dalla fine degli anni Novanta ed è sempre più popolare nelle grandi città come Palermo ma anche nei piccoli centri. Probabilmente il sushi è stato favorito dalla tradizione dei palermitani di mangiare i frutti di mare crudi come i ricci. Il gusto del pesce crudo freschissimo è infatti una delle qualità più apprezzate dai nostri buongustai. Altro che sushi giapponese, in Sicilia lo avevamo forse inventato molti secoli prima...E ancora nei mercati si vedono i palermitani «assaggiare» il pesce crudo di ogni tipo prima di comprarlo nella pescheria di fiducia. Come ai tempi degli antichi Greci.

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