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Sicilia, pagamenti lenti e imprese in difficoltà: Palermo maglia nera nei ritardi della pubblica amministrazione

Il dato emerge dal report dell’Ufficio studi della Cgia. Lo scorso primo luglio è stata diffusa una nota sul sito internet del Ministero dell’Economia e delle Finanze

In Sicilia il problema dei ritardi nei pagamenti della Pubblica amministrazione è più che mai vivo, e i numeri lo dimostrano. Secondo l’ultimo rapporto dell’Ufficio Studi Cgia, tra i peggiori enti d’Italia figurano due società palermitane: Rap (servizio di raccolta e smaltimento rifiuti) e Amat (trasporto pubblico locale).

Nel 2024, la Rap ha pagato i propri fornitori con un ritardo medio di quasi 88 giorni oltre i termini di legge, mentre l’Amat ha accumulato 45 giorni di ritardo. Dati che incidono pesantemente sul tessuto economico locale, fatto di piccole e medie imprese che spesso non hanno la forza finanziaria per reggere mesi di attesa.

La situazione siciliana si inserisce in un quadro nazionale preoccupante: l’Italia è maglia nera in Europa per debiti commerciali della PA, con uno stock pari a 58,7 miliardi di euro (2,7% del PIL, contro l’1,8% della Germania e lo 0,7% della Spagna).

Il quadro in Italia

Al netto degli importi sospesi e non liquidabili, l’anno scorso la nostra Pubblica Amministrazione ha ricevuto dai propri fornitori privati 198 miliardi di euro di richieste di pagamento. Di questo importo, entro marzo 2025 sono stati liquidati 189,85 miliardi. Pertanto, nelle transazioni commerciali tra pubblico e privati, questi ultimi non hanno incassato ben 8,15 miliardi. A denunciarlo è l’Ufficio studi della CGIA che ha elaborato questi dati dopo aver letto la nota pubblicata lo scorso 1° luglio sul proprio sito internet dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF).

È evidente che a destare preoccupazione tra gli imprenditori italiani non siano soltanto i dazi imposti dall’Amministrazione Trump, ma anche quelli di natura interna presenti nel nostro Paese che rallentano l’economia e ostacolano lo sviluppo. Alcuni esempi? Quando, ad libitum, il committente pubblico decide di non onorare le scadenze di pagamento previste nel contratto o di liquidare i fornitori con ritardi del tutto ingiustificati. E sebbene negli ultimi anni la nostra PA abbia ridotto notevolmente i tempi con cui salda le fatture ricevute, i mancati pagamenti, però, continuano a essere un malcostume ancora molto diffuso nel nostro Paese.

Maglia nera in Europa

La conferma giunge anche dalla lettura delle statistiche che periodicamente pubblica l’Eurostat. Negli ultimi dati presentati ad aprile di quest’anno, l’Italia continua a essere maglia nera in Europa. Lo stock complessivo dei debiti commerciali di parte corrente è pari a 58,7 miliardi di euro. Sebbene l’importo sia leggermente in calo rispetto ai 59 miliardi riferiti al 2023, dal confronto con gli altri 27 paesi presenti in UE, il nostro score è il peggiore.

In rapporto al Pil, nel 2024 i nostri debiti commerciali ammontano al 2,7 per cento. Nessun altro paese può contare su un dato più negativo. Tra i principali competitor segnaliamo che in Germania l’incidenza è dell’1,8 per cento, in Francia dell’1,5 e in Spagna solo dello 0,7. La media UE27 è dell’1,6 per cento.

 

I ritardi sono diminuiti

Se i mancati pagamenti sono ancora un grosso problema, quando paga, invece, adesso la PA lo fa con tempi molto più rapidi di un tempo. Nel 2024, per la prima volta dall’entrata in vigore della Direttiva UE contro i ritardi nei pagamenti avvenuta nel 2013, la media ponderata è scesa al di sotto dei 30 giorni. Certo, i vincoli imposti dall’UE per ottenere i finanziamenti del PNRR e l’introduzione della Piattaforma dei Crediti Commerciali (PCC) - vale a dire lo strumento digitale che ha messo in chiaro le abitudini di pagamento della PA, consentendo di verificare puntualmente dinamiche e sanzioni da comminare agli enti ritardatari – hanno dato un contributo importante a rendere i Ministeri, le società pubbliche, le Regioni, le Aziende ospedaliere e i Comuni tutti più virtuosi.

Molti fanno i “furbi”

Tuttavia, la CGIA segnala almeno due “anomalie” che ormai sono diventate un modus operandi a cui ricorrono sia le piccole società pubbliche e le amministrazioni comunali minori, sia la nostra PA a livello regionale e centrale. Questo comportamento sta consentendo a tutte le amministrazioni che fanno ricorso a questi due “escamotage” di ottenere un Indice di Tempestività dei Pagamenti (ITP) annuo anticipato dal segno meno e quindi rispettoso dei limiti previsti dalla legge.

Come ha sottolineato anche la Corte dei Conti in una delle sue ultime relazioni, nelle transazioni commerciali la nostra PA sta adottando una prassi che definire “diabolica” è forse riduttivo; salda le fatture di importo maggiore entro i termini di legge, mantenendo così l’ITP entro i limiti previsti dalla norma, ma ritarda intenzionalmente il saldo di quelle con importi minori, penalizzando, così, le imprese fornitrici di prestazioni di beni e servizi con volumi bassi; cioè le piccole imprese.

Da qualche tempo molti dirigenti pubblici, anche di società collegate alle regioni e agli enti locali, decidono unilateralmente quando i fornitori devono emettere la fattura. Se questi ultimi non si “attengono” a questa disposizione, lavorare in futuro per questo ente/società pubblica sarà molto difficile. Dando l’autorizzazione all’emissione della fattura solo quando l’Amministrazione dispone dei soldi per liquidarla, queste realtà pubbliche riescono a “rispettare” i tempi di pagamento, “aggirando” così le disposizioni previste dalla legge. Una forma di abuso della posizione dominante che risulta essere decisamente “ripugnante”.

Compensazione tra i debiti fiscali e i crediti commerciali

Per risolvere questa annosa questione che sta mettendo a dura prova tantissime Pmi, per la CGIA c’è solo una cosa da fare: prevedere per legge la compensazione secca, diretta e universale tra i crediti certi liquidi ed esigibili maturati da una impresa nei confronti della PA e i debiti fiscali e contributivi che la stessa deve onorare all’erario. Grazie a questo automatismo risolveremmo un problema che ci trasciniamo da decenni che continua a minare la tenuta finanziaria di moltissime piccole e medie imprese.

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