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I dazi all'Ue

Lo studio della Cgia di Mestre punta il dito su una bassa percentuale di diversificazione dell'export

L'export italiano va bene nel primo trimestre

I dazi Usa potrebbero penalizzare, in particolare, l’export del Mezzogiorno che, a differenza del resto del Paese, ha una bassa diversificazione dei prodotti venduti nei mercati esteri. Pertanto, se dopo l’acciaio, l'alluminio e i loro derivati, gli autoveicoli e la componentistica auto gli Usa - e, a catena, altri Paesi del mondo - decidessero di innalzare le barriere commerciali anche ad altri beni, gli effetti negativi per il nostro sistema produttivo potrebbero abbattersi maggiormente nei territori dove la dimensione economica dell’export è fortemente condizionata da pochi settori merceologici. Lo sottolinea la Cgia in uno studio sui dazi.

La regione che a livello nazionale presenta l’indice di diversificazione peggiore è la Sardegna (95,6%), dove domina l'export dei prodotti derivanti della raffinazione del petrolio. Seguono il Molise (86,9%) - caratterizzato da un peso particolarmente elevato della vendita dei prodotti chimici/materie plastiche e gomma, autoveicoli e prodotti da forno - e la Sicilia (85%), che ha una forte vocazione nella raffinazione dei prodotti petroliferi.

Solo la Puglia presenta un livello di diversificazione elevato (49,8%) e la colloca al terzo posto a livello nazionale tra le regioni potenzialmente meno a rischio da un’eventuale estensione dei dazi ad altri prodotti merceologici. Le aree meno in pericolo sono del Nord.

La Lombardia (con un indice del 43%) è ipoteticamente la meno a "rischio». Poi il Veneto (46,8), la Puglia (49,8), il Trentino A.A. (51,1), l’Emilia R. (53,9) e il Piemonte (54,8). Milano è l'area geografica del Paese che esporta di più verso gli Usa: nel 2024 le vendite hanno toccato i 6,35 miliardi di euro. Poi Firenze (6,17), Modena (3,1), Bologna (2,6) e Torino (2,5) città che esportano quasi un terzo del totale nazionale.

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