No, la cifra non è paragonabile a quella fotografata nelle regioni del Centro-Nord Italia, che hanno un tessuto produttivo ben più esteso, ma le ricadute dei dazi minacciati all’Ue dall’America di Trump rischiano di far male anche all’imprenditoria siciliana, e non poco, insidiando una quota di oltre 1,2 miliardi di euro.
A far di conto ci ha pensato la Cgia di Mestre, stimando le ricadute della politica commerciale del tycoon sull’export dell’intero Paese, che negli scambi verso gli Stati Uniti, quantomeno nel 2023, ha fatturato più di 67 miliardi, con un contributo di un miliardo e 264 milioni del made in Sicily: un giro d’affari che nell’Isola, rispetto al 2022, è aumentato del 10,5%.
Certo, si tratta di un’asticella lontana da quelle segnate in Lombardia (14 miliardi), Emilia Romagna (10,4), Toscana (9), Veneto (7,5) e Piemonte (5,5), ma il volume delle esportazioni oltreoceano del territorio risulta comunque il secondo più consistente del Mezzogiorno, superato solo dai 2,7 miliardi rilevati in Campania. Quanto ai prodotti più a rischio lungo l’asse Sicilia-Usa, il pensiero va ovviamente alle merci gettonate dalle aziende americane, ossia i derivati dalla raffinazione del petrolio, che fruttano alle industrie sicule 684 milioni di euro l’anno, le apparecchiature elettriche, che pesano per 259 milioni, nonché gli oli vegetali, extravergine compresi, e i grassi animali, che portano al di qua dello Stretto 50 milioni. Detto ciò, resta difficile calcolare quanto di questo denaro può andare in fumo.
Un po’ più facile, invece, ipotizzare cifre in scala nazionale, come ha fatto l’Ocse, secondo cui, ricorda la Cgia, l’eventuale introduzione di dazi al 10% sull’intera gamma dei prodotti e dei servizi importati dall’Ue provocherebbe una riduzione in termini economici delle esportazioni italiane verso gli Usa pari a 3,5 miliardi di euro che salirebbe a fino a 12 miliardi nel caso l’aliquota fosse elevata al 20%. Quasi sicuramente, continua spiega il coordinatore dell’Ufficio studi dell’associazione degli artigiani, Paolo Zabeo, «i settori più penalizzati sarebbero quelli che ad oggi hanno un tasso di penetrazione nel mercato statunitense più significativo», e tra tutti i medicinali e prodotti farmaceutici, le cui vendite nel 2023 «hanno cubato 7,7 miliardi di euro, mentre gli autoveicoli 4,9 e le imbarcazioni 4,2». Seguono i macchinari, le bevande (in particolare i vini), i prodotti petroliferi con l’exploit della Sicilia e l’abbigliamento.
La Cgia però, frena sugli allarmismi, spostando l’attenzione su un altro Paese, la Germania, la cui crisi economica, negli ultimi due anni, «ha comportato un danno di 5,8 miliardi di euro per il nostro sistema produttivo. Nel 2023, il valore delle esportazioni verso il mercato tedesco è diminuito di 2,7 miliardi, mentre nei primi dieci mesi del 2024 la contrazione ha raggiunto i 3,1 miliardi.
Pertanto, sebbene numerosi imprenditori e l’opinione pubblica in generale esprimano una marcata preoccupazione per le conseguenze negative che l’introduzione dei dazi da parte dell’amministrazione Trump potrebbe arrecare alle nostre imprese esportatrici, la crisi tedesca degli ultimi due anni ha già generato e potrebbe continuare a produrre danni significativamente più gravi». Insomma, «non si può escludere che, come avvenne nel 2019 a seguito dell’implementazione delle barriere commerciali sempre introdotte da Trump, le ripercussioni commerciali negative possano risultare meno gravose di quanto ipotizzato»
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