Lontano dalla soglia nazionale, lontanissimo dalle asticelle raggiunte al Nord Italia e molto vicino, di contro, ai valori registrati nei Paesi più poveri d’Europa. Stiamo parlando dei 288 milioni di Prodotto interno lordo creato quotidianamente nell’Isola, e in particolare del Pil generato ogni 24 ore dai residenti in Sicilia, pari a 60 euro per abitante, contro i 99 calcolati nel 2024, in media, per ogni italiano. A far di conto ci ha pensato la Cgia di Mestre (nella foto il coordinatore Polo Zabeo), stilando una speciale classifica che vede in testa il Trentino Alto Adige con 146 euro giornalieri, seguito da Lombardia (132), Valle d’Aosta (130), Emila Romagna (119) e Veneto (111), mentre il territorio siciliano si piazza al penultimo posto, dopo la Campania (63 euro) e prima della Calabria (58). Impietoso anche il confronto con i Paesi Ue, con il Pil degli isolani sovrapponile a quello degli abitanti meno ricchi della comunità europea, come i greci (anche loro a quota 60 euro), gli ungheresi (59) e i croati (croati), mentre romeni e bulgari, ultimi nel ranking con 51 e 42 euro, non sono così distanti da noi. Distantissimi, di anni luce, sembrano invece lussemburghesi, irlandesi e danesi, che ogni giorno, da beni e servizi, ricavano rispettivamente 336, 266 e 179 euro. Sconfortanti anche i dati sulla produttività del lavoro, misurata rapportando il valore aggiunto alle unità di lavoro standard (Ula). Quest’altra classifica, difatti, vede l’Isola quintultima con 168 euro quotidiani contro i 210 registrati mediamente in Italia: peggio di noi, e di poco, solo Molise, Sardegna, Calabria e Puglia. Sempre in termini di produttività lavorativa, a livello provinciale Ragusa risulta cenerentola dello Stivale, al posto numero 107 con sole 138 euro, preceduta da Agrigento, novantanovesima con 154, Trapani con 161, Messina con 162, Catania con 164, Enna con 169, Caltanissetta con 180, Palermo (settantesima) con 181 e Siracusa con 194 euro. Il gap con il resto del Paese è facilmente intuibile: come in altre regioni del Sud, sulla Sicilia, spiega il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo, grava «un’economia meno contrassegnata dalla presenza di aziende manifatturiere e di attività creditizie, finanziarie e assicurative». Quanto, invece, al divario tra la media italiana e quella rilevata in altri Stati Ue, come il Lussemburgo, «va sottolineato che i Paesi con pochi abitanti, ma con una presenza importante di big company e di attività finanziarie, presentano tendenzialmente livelli di ricchezza nettamente superiori agli altri. Inoltre, l’Italia è un Paese che non dispone più di grandissime imprese e di multinazionali, ma è caratterizzato da un sistema produttivo composto quasi esclusivamente da piccole e medie imprese ad alta intensità di lavoro che, mediamente, registra livelli di produttività non elevatissimi, eroga retribuzioni più contenute delle aziende di dimensioni superiori – condizionando così l’entità dei consumi – e presenta livelli di investimenti in ricerca e sviluppo inferiori a quelli in capo alle grandi realtà produttive». Infine, «a differenza dei nostri principali competitori europei, in questo ultimo trentennio la competitività del nostro Paese ha risentito dell’assenza delle grandi imprese. Queste ultime sono pressoché scomparse».