A conclusione del processo per la morte dell’operaio Alessandro Di Trapani, deceduto a Palermo il 13 maggio 2014 per un incendio mentre lavorava a bordo della nave Cossyra, ormeggiata nel bacino di carenaggio della Adorno, intervengono la Fiom Cgil Palermo e l’avvocato Fabio Lanfranca, difensore della famiglia.
Il processo si è concluso con tre condanne e un’assoluzione. «Siamo stati sempre vicini alla famiglia, sin da quando è successa la tragedia, e presenti al processo, costituendoci parte civile con il nostro avvocato Fabio Lanfranca – dichiara il segretario generale della Fiom Cgil Palermo, Francesco Foti -. Era importante capire e seguire da vicino tutte le dinamiche processuali. Giustizia è stata fatta anche se questo risultato non può riportare in vita il lavoratore morto. Riteniamo incredibile che dal 2014 il processo si sia concluso solo oggi. Chiediamo una giustizia più veloce così come l’aumento delle pene per quegli imprenditori e amministratori delegati di aziende che non rispettano le normative di sicurezza. In Italia la media è di mille morti l’anno suoi luoghi di lavoro».
«I primi a intervenire sul luogo della tragedia, nel cantiere privato all’interno del porto, sono stati gli rsu e rls della Fiom di Fincantieri – aggiunge Foti –. Siamo stati solidali non solo a voce ma con fatti reali, con una colletta per la famiglia fatta dai lavoratori del Cantiere Navale di Palermo e dalla Fiom, raccogliendo una cifra per la moglie e la figlia, che aveva 2 anni. E c’è stata una grande partecipazione al funerale. Una presenza del sindacato vera, sempre, in tutti questi anni».
«Alessandro Di Trapani è morto perché è stato mandato dal suo datore a lavorare nella sala macchina della Cossyra senza alcun dispositivo di protezione individuale – aggiunge l’avvocato di parte civile Fabio Lanfranca -. Il processo ha accertato che questa morte sul lavoro si sarebbe potuta evitare se solo Alessandro Di Trapani fosse stato dotato di una tuta di cotone, che avrebbe evitato le terribili ustioni che ne hanno causato la morte. Con la tuta in acrilico che aveva addosso le uniche parti nelle quali non ha riportato lesioni sono stati i calzini e le mutande in cotone. Il resto del corpo era interamente arso, tanto che è morto pochi giorni dopo in ospedale al reparto grandi ustioni».
«La sentenza di condanna è l’esito di un processo travagliato, che ha visto ben cinque giudici succedersi e il processo è ricominciato ogni volta, a ogni cambio dell’organo giudicante – aggiunge Lanfranca - Il padre, Pippo Di Trapani, si è pure rivolto al presidente della Repubblica perché questa sentenza non arrivava mai. Finalmente dopo 9 anni è stata fornita dallo Stato una risposta ai familiari di Alessandro, che indica chiaramente chi sono i responsabili della sua morte. Rimane il rammarico per il fatto che alla lettura della sentenza non fosse presente la mamma di Alessandro, Angela Sarzana, che dopo la scomparsa del figlio si è lasciata lentamente morire».
Nella foto i funerali di Alessandro Di Trapani
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