PALERMO. L’Opera pia cardinale Ernesto Ruffini pronta a mandare a casa i 42 dipendenti. Ma i sindacati promettono battaglia. Le procedure di licenziamento collettivo sono state avviate da qualche giorno e sono l’epilogo di una drammatica vicenda che negli ultimi mesi ha messo a dura prova i rapporti tra l’ente, presieduto dall’arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice, e il personale ormai allo stremo, con tredici mensilità arretrate.
Le condizioni economiche di un ente, fondato nel 1952 e titolare di una serie di servizi in favore di disabili, bambini di quartieri disagiati, anziani soli, studenti della scuola di servizio sociale, sono disastrose e non consentono, secondo quando riferisce il cda, altra possibilità se non la riduzione dell’orario di lavoro dei dipendenti da 36 a 30 ore, per garantire «un pezzo di pane a tutti e mantenere il lavoro», ha più volte detto Lorefice con le lacrime agli occhi.
A ridurre in una situazione gravemente debitoria, con un buco da due milioni e mezzo di euro, l’ente di assistenza ha contribuito la progressiva contrazione del contributo regionale, ma anche una gestione disastrosa negli ultimi anni, su cui sono in corso accertamenti. La maggior parte dei lavoratori, però, non ha accettato di firmare la proposta d’accordo con la riduzione oraria, perché avrebbe voluto la garanzia che i contratti di lavoro rimanessero quelli del comparto autonomie locali, senza passare al privato.
Il rifiuto dei lavoratori, dopo innumerevoli assemblee e trattative, ha spinto il vicepresidente dell’Opcer, Alfredo Sigillò Massara, a comunicare l’avvio delle procedure di licenziamento collettivo.
Dal primo dicembre l’asilo alla Guadagna chiuderà i battenti, il centro di riabilitazione Cor al Villaggio Ruffini resterà aperto fino al 31 dicembre, il Villaggio dell’ospitalità in via Castellana fino a quando il Comune non invierà i venti anziani rimasti in altre strutture. Non ci dovrebbero essere problemi, invece, per la scuola di servizio sociale Santa Silvia.
La tesoreria Monte dei Paschi di Siena ha bloccato le linee di credito. «Per come è strutturata l’Opcer è una vera e propria idrovora finanziaria - scrive Sigillò -. Le drastiche decisioni rinviate nel tempo non possono essere più procrastinate». Si chiudono i servizi, insomma, ma non l’ente, che al termine di questa dolorosa vicenda, proseguirà le attività sotto altre forme, non nel settore assistenziale, ma «valorizzando quei servizi che costituiscono un patrimonio formativo e culturale da promuovere, nonché mantenendo quelle attività che assicurano una economicità di gestione».
I sindacati Csa, Cgil e Uil hanno chiesto un apposito incontro per procedere a un esame congiunto tra le parti dell’avvio del licenziamento collettivo, come prevede la norma. L’incontro si terrà nella sede di Sicindustria, in via XX Settembre, oggi pomeriggio, ma il segretario provinciale della Uil Fpl, Salvatore Sampino, ieri ha inviato una nota all’Opcer, in cui avverte che la procedura di licenziamento non può essere intrapresa perché «in contrasto con la normativa vigente in materia di Ipab».
La Uil Fpl sostiene che, secondo la legge regionale 22 del 1986, «un ente istituzione come una Ipab che va in dissesto finanziario prevede una procedura ben definita, come la fusione con altre Ipab o, nel caso di estinzione della stessa Ipab, la possibilità di devolvere i beni patrimoniali al Comune di appartenenza a condizione che assorba tutto il personale dipendente e i relativi diritti acquisiti».
Un ultimo appello per scongiurare «che 42 padri di famiglia possano perdere il posto di lavoro». Ma il vicepresidente non lascia molte speranze. «Il giudice del lavoro con otto provvedimenti diversi ha accertato la natura privatistica di questo ente, quindi non si può prevedere una procedura di estinzione dell’ente e di appropriazione del patrimonio, che è di derivazione ecclesiastica, come se invece fosse pubblico - motiva Sigillò - Capisco l’intenzione del sindacato, ma così si creano aspettative».
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