Da Nord a Sud, oriente e occidente, la ricerca del divino e la sete di risposte hanno mosso i tentativi millenari di trovare l’Elisir, la parola sacrale, la scintilla che permetta di sondare l’insondabile e comprendere quella “cosa unica”, citata nell’antichissima Tavola Smeraldina: «E poiché tutte le cose son e provengono da una, per la meditazione di una, così tutte le cose sono nate da questa cosa unica mediante adattamento».
L’alchimia, che potrebbe sintetizzarsi come l’arte segreta di trasformare la materia e illuminare lo spirito, ha da sempre affascinato gli esseri umani. Nata attingendo all’antica cultura egizia, greca e araba, ha lasciato dietro di sé profonde tracce continuando a interessare anche nel nostro presente. Tale ricerca ebbe, nel lontano passato, tra i suoi maggiori artefici soprattutto abati che trascorrevano notti insonni tra le mura impenetrabili delle loro abbazie.
La ricerca ha interessato soprattutto quella che fu la Fucina Alchemica della Corte Medicea e la traduzione del Corpus Hermeticum - copia di 14 trattati attribuiti al Tre Volte Grande Hermes - commissionata nel 1463 da Cosimo di Giovanni de’ Medici (1389-1464) a Marsilio Ficino, ispirò il pensiero ermetico e neoplatonico rinascimentale, dando impulso alle ricerche sulla bellezza, sapienza, intelletto e corporeità umana come espressioni della luce divina. Era necessario ritenere la conoscenza, cardine dell’esistenza e considerare l’ignoranza come il vero male dell’anima. San Tommaso D’Aquino nel suo “L’alchimia. Trattato della Pietra Filosofale” raccomandando al discepolo di «non essere loquace ma custodisci la tua bocca e, come un figlio dei sapienti, non gettare le perle ai porci», precisò: «Avendo pace con Dio, tieni sempre fisso in mente il fine della tua opera; tieni per certo che, se avrai costantemente presenti queste regole che a me furono date da Alberto Magno, non dovrai andare in cerca di re e potenti».
Visto il fascino che l’alchimia continua ad esercitare, è palese che ogni nuova scoperta desti scalpore. È quanto sta avvenendo in questi giorni relativamente al rinvenimento di un’iscrizione su pietra trovata sulle rive dell’altopiano tibetano, vicino al lago Gyaring (Qinghai) a oltre 4 mila metri d’altitudine, nota come la Stele alchemica del Tibet. L’iscrizione, incisa in xiaozhuan, menzionerebbe una spedizione inviata dall’imperatore Qin Shi Huang (259–210 a.C.) e il mandato a un funzionario accompagnato da praticanti/“fangshi” (alchimisti/pratici esoterici) verso le montagne Kunlun in cerca del Yao, termine che può indicare erbe, sostanze mediche o l’Elisir di Lunga Vita.
Potrebbe dunque testimoniare l’interesse alchemico dell’imperatore cinese Qin Shi Huang (259-210 a.C.) già noto per l’edificazione della Grande Muraglia e del celebre esercito di terracotta. Racconterebbe di una spedizione sconosciuta, voluta dall’imperatore alla ricerca dell’elisir di lunga vita. Il testo inciso narrerebbe infatti che Qin Shi Huang ordinò a Yi, Gran Maestro di quinto livello, di condurre nel 210 a. C., una spedizione di alchimisti verso il monte Kunlun alla ricerca della Pietra Filosofale e il gruppo raggiunse il lago Gyaring fermandosi prima di procedere per la Montagna sacra.
La scoperta tibetana amplifica l’idea della sparizione di confini geografici, della compresenza di elementi comuni a luoghi e culture che permettono di comparare i risultati ottenuti in diversi luoghi della terra, in quanto fondanti tutti sulla stessa matrice. Per semplificare: una scoperta rinvenuta in Sicilia può fare luce su quanto avvenne in luoghi lontani. Come detto più volte, è come con la Stele di Rosetta. Si tratta di decodificare e applicare.
La Sicilia, ad esempio, è ricca di siti che incarnano la stessa tensione fra natura, mito e ricerca del divino, come nel caso di Monte Pellegrino, dove sono tra l’altro presenti anche tracce attribuite a un’edicola a Tanit. Pellegrino è il monte-tempio dove la vetta, le grotte, l’acqua e le vie di salita sono anche pratiche di mediazione col sacro, tentativi di dialogo e speranza.
Non è certo un caso se Goethe, ammaliato dalla bellezza siciliana, fece dimorare a Engyum - luogo sperduto della Sicilia - l’essere temuto da Faust: il Regno delle Madri in grado di riportare in vita i morti. Come ho espresso in passato, la ricerca ermetica ha sempre interessato anche i nazisti che finanziarono spedizioni in diverse parti del mondo alla ricerca di reliquie e oggetti sacri il cui possesso avrebbe conferito un potere sconfinato. Numerose furono le spedizioni organizzate dalla Ahnenerbe - la Società di ricerca ed insegnamento dell’eredità ancestrale nata nel 1935 - che si occupò anche della ricerca della residenza degli "Antenati Ancestrali", ossia la mitica Agartha. Durante la guerra fu inoltre redatta una mappa tendente a salvare dai bombardamenti luoghi importanti e suppongo che vi sia stata inserita anche l’Abbazia di San Martino di Palermo per il suo patrimonio librario. Come ho evidenziato nel mio volume “Trame occulte del nazismo”, tra il 1937 e 1938 i nazisti organizzarono una spedizione in Tibet – non finalizzata alla sola scalata dell’Himalaya, come il film “Sette anni in Tibet” rammenta - ma volta alla ricerca della razza ariana, procedendo poi a un’altra spedizione alla volta delle Ande.
Tra il 1938 e il 1939 organizzarono una spedizione in Antartide per cercarvi il punto di accesso della mitica terra; Nell’agosto 1942 scalarono la vetta del Monte Elbrus piantandovi il vessillo nazista, ritenendola dimora dell’antica popolazione progenitrice degli Ariani; l’archeologo Otto Rhan e il filosofo Alfred Rosenberg cercarono vicino i Pirenei alla ricerca del Sacro Graal e si narra che nel giugno 1944 la II divisione delle SS “Das Reich” mise a ferro e fuoco il paese di Oradur-Sur-Glane massacrando parte della popolazione con l’accusa di aver occultato il Graal.
Un filo comune dunque lega luoghi posti a migliaia di chilometri di distanza. Tracce ed elementi che fanno comprendere, ancora una volta, la labilità dei confini fisici e il fascino della ricerca volta al rinvenimento della Pietra Filosofale.
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