
Massimo Verdastro e Nino Gennaro erano amici veri, di quelli che incontri un giorno e poi rivedi dopo anni, ed è come se fossero passati dieci minuti. Tanto che un giorno Verdastro chiese a Gennaro di affidargli le sue parole, ed è nato quel capolavoro che è stata «La divina di Palermo» vennero poi anche «La via del Sexo», «O si è felici o si è complici» e tanti altri, tracce di un teatro impegnato ma non pesante, la scena della strada e delle case che aveva tanto da dire. Da allora l’attore romano ha continuato a portare in giro il teatro dello scrittore corleonese, anche dopo la sua scomparsa, esattamente trent’anni fa.
Sabato alle 21 al Cinema De Seta, si apre Sicilia Queer fest con l’assegnazione del Premio Nino Gennaro a chi più di tutti ne ha ascoltato la voce: Verdastro riceverà il riconoscimento dalle mani di Rori Quattrocchi, presenti Francesca Della Monica, Nando Bagnasco e Massimo Milani. Sarà una bella occasione per ascoltare ricordi e aneddoti e saranno proiettati video rari di Pippo Zimmardi dei lavori di Nino Gennaro.
Dalla Corleone degli anni Settanta alle lotte per i senza casa nella Palermo degli anni Ottanta e Novanta: manifestazioni, impegno, teatro su cui i due amici si scambiavano lunghe missive, che Verdastro ha raccolto nel volume «Caro amico ti scrivevo. Lettere 1991/1995 e altri scritti»: lo presenterà con Lina Prosa, domenica alle 18 sempre al De Seta. Infine l’attore leggerà, lunedì alle 18 al Cre.Zi.Plus stralci da «Manomissione», nuovo romanzo storico di Domenico Conoscenti.
«Ho conosciuto Nino Gennaro nell’estate del 1978, io arrivai a Palermo con Silvio Benedetto e Alida Giardina, avevo 19 anni, Pippo Anastasio, direttore dell’Hotel Centrale ci offriva ospitalità in cambio di brevi spettacoli di teatro, da Artaud, Mishima, Perriera, che impiantammo in vicolo Marotta – inizia a raccontare Verdastro -. Dovevano essere pochi giorni, mi fermai quattro mesi, gli ospiti dell’albergo, fatiscente e affascinante, non si facevano vedere, in compenso ogni sera arrivava chi abitava nel quartiere o faceva teatro, Letizia Battaglia e Franco Zecchin.
Michele Perriera venne a sentire “Il signor X” un suo testo sull’esercizio del potere. E io decisi di restare e di frequentare il Teatés. Una sera arrivò Nino Gennaro, transfuga da Corleone, dove era troppo contestata la sua battaglia contro la mafia, e la lotta in difesa dei diritti omosessuali».
Anni difficili e Corleone non era esattamente un palcoscenico aperto al mondo. «Nino amava Corleone, l’ha sempre amata. Era con Maria Di Carlo anche lei in fuga dopo aver denunciato il padre per maltrattamenti. Si trasferirono a Palermo ed erano ogni sera a vicolo Marotta - continua -, poi andavamo tutti a piazza Pretoria. Diventammo amici, fu coinvolto come attore e alla luce di questa esperienza, fondò il TeatroMadre». Coinvolgimento del pubblico, attori che si mettevano letteralmente a nudo, l’esperienza del Living: era comunque teatro povero, da sottoscala. «Fatto di corpi e luci di candele. Poi io andai a Milano, a recitare con Ronconi e Peter Stein, le nostre strade si separarono ma rimanemmo amici. Tornai nel 1991 per un monologo di Lina Prosa, “Artrosi”, Nino venne a vedermi e lì gli chiesi di affidarmi i suoi testi, le sue poesie. Da allora non ho più smesso».
«La divina di Palermo» ha rivelato la forza poetica e drammaturgica di Nino Gennaro, le lettere oggi sono la sua voce. «Nino era già malato di Aids nel 1988, sarebbe morto nel 1995: in un cassetto ho ritrovato centinaia di lettere, colme di riflessioni molto attuali, un vero sguardo ampio sul mondo. Che mai come oggi è necessario».

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