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Volti, paesaggi, tradizioni: un viaggio fotografico nell’anima della Sicilia di Nunzio Guzzo

C’è una porta antica, chiusa, ma non sigillata. Una piccola serratura sul portone interno del Castello dei Ventimiglia di Castelbuono si fa simbolo e inizio di un viaggio. È proprio da lì che parte il libro fotografico di Nunzio Guzzo, edito da Plumelia, curato e voluto dalla Scuola siciliana di fotografia, che verrà presentato dopodomani, mercoledì 23 aprile alle ore 19, nei locali della scuola in via XX Settembre 13, a Palermo.

Un’opera che è molto più di una raccolta d’immagini: è un racconto visivo, un attraversamento emotivo di paesi, volti, paesaggi, tradizioni e intimità della Sicilia, con uno sguardo profondo e attento ai territori del Palermitano. Le fotografie – in bianco e nero e a colori – mostrano l’incontro tra memoria e attualità, tra lirismo e realismo, in una narrazione che fonde rigore compositivo e delicatezza poetica.

Nunzio Guzzo, classe 1952, ha iniziato a fotografare nel 1976, subito dopo il servizio militare, con una reflex 35mm. Da allora, la sua visione artistica non ha mai ceduto ai compromessi dell’immagine costruita: «Quando un dettaglio cattura la mia attenzione – racconta – io lo vedo già incorniciato, appeso a una parete. Quella foto esiste già, aspetta solo di essere scattata». Un amore nato da bambino, scoprendo una scatola di scarpe piena di vecchie fotografie. Una passione divenuta forma d’arte e strumento per fermare il tempo nei gesti quotidiani, nelle rughe del lavoro, nelle architetture sospese. La sua fotografia non denuncia, non documenta, ma interpreta e trasforma. È racconto, pittura, sguardo intimo su una terra complessa.

Il volume (già disponibile da Modusvivendi in via Quintino Sella), curato da Antonio Saporito Renier, direttore della Scuola siciliana di fotografia, sarà al centro di una serata ricca di contributi e riflessioni. Con la moderazione della giornalista Alessandra Turrisi, interverranno lo scrittore Giuseppe Maria Di Giacinto, i fotografi Francesco Enia e Tania Spadafora, e lo stesso Saporito Renier. Sarà presente l’autore.

Dal dettaglio antropologico di un interno rustico a Porticello, al simbolismo intenso di uno scatto di strada ad Altofonte del 1978 – dove la crudezza dell’esposizione di carcasse animali si confronta con l’innocenza di una bambina – ogni fotografia racconta una Sicilia antica e presente, dolente e viva. C’è anche l’eco della storia sociale, con i segni della mafia, le superstizioni del mare, gli echi delle campagne abbandonate.

Le 93 fotografie che compongono il volume sono molto più che immagini: sono storie, sussurri, segreti raccolti con sguardo poetico e profondo. Ci sono superstizioni e tradizioni, sacro e profano che si intrecciano. C’è un magnifico scatto di interno rustico, immortalato nel 2006 a Porticello, dalla connotazione etno antropologica. Le icone sacre appese alla parete dietro alla lampadina a filamento, aspettano la luce che può essere accesa solo a volte e non sempre per ragioni anche economiche probabilmente. Ma la funzione taumaturgica non conosce buio o interruzioni poiché la treccia di aglio appesa “supplisce” apotropaicamente secondo antiche tradizioni di riti e leggende siciliane legate al mare preservando la buona sorte in mare e a terra della famiglia del marinaio.

Una fotografia in bianco e nero al pari di un altro scatto, sempre in bianco e nero, estemporaneo di street eseguito ad Altofonte nel 1978 in analogico. Evidenti le influenze Bressoniane che in quel periodo animavano la fotografia mondiale. Il contrasto tra la crudità iconica dell’esposizione in strada di teste bovine e carcasse di animali sgocciolanti dialoga antropologicamente con l’innocenza della bambina. Siamo in un periodo anche di guerre di mafia dove spesso gli animali venivano uccisi anche come “avvertimento mafioso” a carico di questo o di quel personaggio. La bambina è metafora di una società coinvolta ma estranea a queste logiche violente e sanguinarie.

Il percorso fotografico si spinge poi nell’interno dell’isola: siamo nel 2008, nel cuore delle campagne del nisseno. Qui la luce incide le forme del paesaggio con mano antica. Sono immagini che dialogano con la grande tradizione del paesaggismo siciliano e napoletano, da Melo Minnella a Giuseppe Leone, fino ai fotografi europei dell’Ottocento. Una continuità che Guzzo riesce a rivisitare con sensibilità contemporanea.

«Nei paesaggi di Guzzo ci sono mille ritratti e nei suoi ritratti mille paesaggi – spiega il direttore della scuola siciliana di fotografia, Antonio Saporito Renier, che ha creduto sin da subito nel talento del suo allievo –: persone che hanno lavorato, arato, raccolto, costruito, demolito, abbandonato, amato; ci sono anime, spesso contadine, che hanno forgiato il territorio con una visione di futuro e che, poi, hanno dovuto abbandonare i loro sogni alle intemperie della dissennata gestione sociale della Sicilia da parte dei governi centrali. Usci di legni rugosi chiusi e consunti dal tempo, case rurali diroccate ma tenacemente erte sugli adagi collinari, finestre opacizzate, come lenti sberciate di vecchi occhiali, davanti a occhi che, come per il poeta argentino Borges, “vedono” con altri sensi».

Dal bianco e nero rigoroso, che ricorda le geometrie di Bresson, fino ai colori pacati e sfumati di una Sicilia rurale che resiste, il volume è un invito a rallentare, a osservare, a ricordare. A entrare, come attraverso quella porticina del Castello dei Ventimiglia, in un mondo che è ancora vivo, se sappiamo ascoltarlo.

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