
Un amore ostinato, ma in un melodramma giocoso e con sagaci intrecci per il lieto fine. «Quanto è bella, quanto è cara!», canta Nemorino e, in attesa della «furtiva lacrima» sfilano sul palco il borioso Belcore, il «dottor» Dulcamara, la capricciosa Adina, per L’elisir d’amore che ritorna al Teatro Massimo domani sera (venerdìm 11 aprile) alle 20 con Gabriele Ferro sul podio dell’Orchestra del Massimo e la regia di Ruggero Cappuccio. «Un capolavoro assoluto nella storia della musica e dell’opera comica ottocentesca, straordinariamente innovativo per gli aspetti sia musicali che drammaturgici», ne definisce la presenza nel panorama lirico il regista, che in due stagioni tra il ’95 e il ’97 aveva proposto al Teatro Libero i suoi Shakespeare, re di Napoli e Desideri mortali.
Ma vela di un’ombra il suo impegno palermitano la recente scomparsa di Roberto De Simone, figura eminente di artista, uomo di teatro e studioso del patrimonio musicale italiano, al quale la Fondazione Teatro Massimo e tutto il cast artistico dedicano la «prima» dell’«Elisir». «Ci sono compositori che inventano delle opere e compositori che riescono a creare dei mondi. De Simone - dice Cappuccio - era un creatore di mondi. Ha portato alla luce la musica del Sei e Settecento napoletano e ne ha imposto al mondo la ricchezza, la nobiltà, la disinvolta energia. Gli siamo tutti riconoscenti».
Lungo, accattivante il percorso dell’opera donizettiana da quel 12 maggio 1832 che al Teatro milanese de La Canobbiana riscosse il suo primo grande successo confermato da una successiva trentina di repliche. Non del tutto condiviso da Donizetti il giudizio critico su La Gazzetta: «troppo bene, troppo bene... troppo», ne scriveva al Mayr, forse ancora sotto l’effetto del cattivo esito del suo precedente Ugo, conte di Parigi. Ma a conferma dei consensi vola l’Elisir a Genova, alla Scala con Maria Malibran, a Vienna. Per il pubblico palermitano l’esordio è al Teatro Carolino il 5 ottobre 1834. E a motivarne ancora una volta le ragioni della sua splendida vitalità Cappuccio sottolinea: «È un’opera musicalmente strepitosa, carica di malinconia e profondità e allo stesso tempo leggera e giocosa, così come i suoi personaggi. Ed è proprio in questa combinazione dei due registri la genialità di Donizetti perché in natura non vi è nulla che sia drammatico e dove al contempo non ci sia anche qualcosa da ridere e viceversa. Se si ascoltasse “una furtiva lacrima” isolata dal contesto dell’opera - aggiunge il regista - si penserebbe che è un’opera lacrimevole, di abbandoni lacrimevoli, ma così non è. Grazie a questa “leggera” profondità Donizetti ha creato un “classico” che racconta come gli esseri umani non amino ciò che già possiedono, ma soprattutto ciò che a loro manca. Abbiamo scelto una messa in scena astratta, non folclorica, dove sono i colori, i cromatismi a creare l’ambientazione agreste descritta dal libretto. Una messa in scena che rivendica una sospensione del tempo per un’opera non di oggi, non di ieri, non di domani, ma un’opera di “sempre”, e questo è il destino dei classici».
Per l’allestimento - del 2011 del Teatro dell’Opera di Roma - con le scenografie di Nicola Rubertelli, firma i costumi Carlo Poggioli, con le luci di Vinicio Chieli. Con Desirée Rancatore che si dedica alla bella e ricca fittaiuola, domani sera il giovane e innamorato Nemorino è René Barbera, impegnato a coniugare la semplicità ingenua del contadino con le sottili, coinvolgenti tinte patetiche che la comicità stemperano in vena sentimentale. Quasi deus ex-machina nell’elegante libretto di Felice Romani arriva con preponderante presenza il sedicente «dottor» Dulcamara con una strepitosa cavatina, Udite, udite o rustici, che offre straordinarie chances al basso comico e, in questa occasione, a Paolo Bordogna. Ruolo non certo secondario nel fornire occasioni a Nemorino, il sergente Belcore che, Come Paride vezzoso, fa il suo ingresso con sicumera e poi si consolerà della sconfitta perché «pieno di donne è il mondo,/ e mille e mille ne otterrà Belcore». E così sortirà Vittorio Prato nel conferirgli pomposi accenti baritonali. Con Federica Maggi che nel ruolo di Giannetta metterà a parte della novità di Nemorino «milionario» le sue amiche paesane, e con il Coro del Massimo preparato da Salvatore Punturo, saranno partecipi in alternanza Giulia Mazzola e Galeano Salas per Adina e Nemorino, Andrea Piazza e Francesco Vultaggio per Belcore e Dulcamara. Repliche fino al 18 aprile. Nelle recite del 15 e 17 dirigerà Elia Andrea Corazza. La prova di oggi alle 18.30 è dedicata a Medici senza frontiere.

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