Si aprirà con gli arancini e chiuderà con le arancine. Tra Catania e Palermo ci sono diciotto tappe del nuovo show, L’ultimo spettacolo. «Prenderò dieci chili perché dopo ogni serata vai a cena, mangi, non digerisci, dormi male, ricominci. Lo scopo a fine tour è quello di raggiungere Sergio Friscia come stazza, ma lui è ben distaccato e cerca sempre di non farsi prendere»: Roberto Lipari si è alzato da pochi giorni dalla scrivania di Striscia La Notizia, ha salutato l’amico – «abbiamo la fortuna grande di non essere una coppia in tutto, ci ritroviamo sui set e dietro il bancone, un po’ come i vecchi compagni di scuola. Ma insieme non ci annoiamo» – e si prepara al nuovo tour. Che parte giovedì 3 aprile dal Teatro Gatto blu di Catania, dove resterà fino al 13 aprile, e si chiude al Teatro Al Massimo, a Palermo, il 28, 29 e 30 maggio. In mezzo ci sono Trapani, Mantova, Monza, Ragusa, Barcellona Pozzo di Gotto, Adrano, la Venaria Reale, Genova, Modena, il Manzoni di Milano, Verona, Legnano, Bologna, l’Ambra Jovinelli a Roma, Basilea, Massarosa. Produce Tramp Management con il sostegno della Vini Corvo.
Roberto Lipari, un ultimo spettacolo? Da ex giovane promessa a venerabile maestro è un passo…
«È il mio primo ultimo tour, come hanno fatto i Pooh che stanno ancora lì ma salutano da circa vent’anni. Lo spettacolo fa leva su questo, tiro le somme dei miei primi vent’anni. Cosa credete, che noi comici abbiamo ancora molto da dire? L’Intelligenza Artificiale scrive meglio di noi, soprattutto di alcuni politici per i quali bisognerebbe piuttosto parlare di deficienza naturale: li ascolti e rivaluti l’AI».
Insomma, sarà uno spettacolo di ricordi, aneddoti, storie. Alla maniera dei Pooh.
«Però io ipotizzo anche l’applauso. Non lo vorrei mai da Festival di Cannes, io sono piuttosto un tipo da 30 secondi di “tanti auguri a te”: se scatta l’applauso lungo, cominci a pensare ad altro, a dove hai messo la macchina o al Palermo che gioca domenica … insomma, ti distrai».
Voi comici, verrebbe da dire, ormai fate tutto da soli.
«Il palco si è snaturato, mi hanno detto che siamo rimasti in pochi a preferire il teatro ai social: io, Rocco Siffredi, Travaglio, Cruciani. Un pornostar, un giornalista, un attore. Cruciani cosa faccia non lo so, ma glielo vorrei chiedere».
Roberto Lipari si racconta, la sua età, i genitori, gli amici, gli zii.
«Il mio spirito da millennials: siamo scontenti, con un’autostima bassissima, cresciuti nei cambiamenti. Mio papà contraddiceva i termometri, io non riesco a impormi neanche al supermercato. Siamo senza opinioni, senza corazza, l’Astrazeneca delle generazioni, quelli che cambiano lavoro di continuo, cresciuti con le promesse di benessere di un mondo che ci ha tradito. Io mi ero preparato sul calcetto e tutti oggi giocano a padel».
E quindi anche sulla sindrome da cane abbandonato?
«Il senso di abbandono e inadeguatezza fa parte di noi, analizziamo tesi, antitesi e sintesi come il mio collega Hegel che saluto con affetto. Siamo introspettivi, ansiosi, poco raffinati, ci piace buttare frasi in latino sul tavolo. Una per tutti, anche per far piacere allo sponsor, in vino veritas».
I Sansoni sono arrivati al cinema con un film che prende di petto le raccomandazioni, Ficarra e Picone avevano parlato di lavoro e posto fisso, Roberto Lipari di baronato universitario.
«Quando gli dei del cinema si uniscono e si mettono d’accordo, può nascere solo Nati stanchi, ho consumato il dvd a forza di vederlo; e Fabrizio e Federico sono in gamba. La comicità bella nasce da un mal di pancia. Non puoi cambiare il mondo ma lo prendi facilmente in giro. Tuttapposto non lo farei di nuovo, avevo 28 anni e l’ho affrontato da ex studente di medicina: chiunque abbia vissuto una facoltà in quel periodo, mi avrebbe dato ragione. Oggi sarebbe diverso».
Il tour e va bene. Un libro a fine mese per Mondadori. Ma un nuovo film?
«Lo stiamo iniziando a scrivere e sarà un corale».
Invidioso di Follemente?
«Un pochino, sempre chiamando a raccolta gli dei di cui sopra. Ma è vero che la mia generazione non ha pellicole di gruppo, pensate ad Amici miei o a Compagni di scuola. Noi millennials no e allora stiamo cercando con alcuni colleghi di scrivere un film generazionale. Vedremo».
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