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Gli appunti di un attore teatrale in forma di racconto libero

Con una prefazione di Salvatore Ferlita che annota con sapienza il talento attoriale di Gigi Borruso, si aprono questi appunti intorno al teatro

Con una prefazione di Salvatore Ferlita che annota con sapienza il talento attoriale di Gigi Borruso, si aprono questi appunti intorno al teatro (Domani vi racconterò il resto. Intorno al teatro -
appunti di un attore, Navarra editore, gennaio 2025), scritti in forma di racconto libero, il cui spazio narrativo ricalca un palcoscenico autobiografico con un’oralità a cui non vuole e non sa rinunziare.

Intuisco che questo narrare, dal tono compostamente confessorio, potrebbe anche essere ascoltato, riconducendo il lettore alla sua poltrona da spettatore. Perché un artista non si dismette mai la propria vocazione originaria, pur se talvolta sceglie paralleli e ugualmente pregevoli canali di comunicazione.

«Come ne usciamo adesso?», scrive Gigi, indicando esattamente l’azione di un uomo di teatro e introducendo, senza esitazione, il lettore alla sua vocazione di jongleur eterno, fanciullo delicato e dissacratore di ogni consorteria culturale. Il concetto di arte, in ogni sua declinazione, viene sicuramente indagato soprattutto dall’artista stesso e, nel caso che ci occupa, la direzione
si dimostra certa.

Per Borruso arte è riparazione, sempre in itinere, fra cocci e macchie. Una storia d’amore in cui trepidamente si attende di essere chiamati dall’amato per rassicurarsi perfino dello spessore della
propria anima. Perché in questa singolare artigianalità del cuore si offre agli altri una ferita intima, un mondo inesprimibile come quello dell’infanzia, un paradiso intatto che si continua a cercare.

L’intuizione di questa riparazione egli la presente, già da fanciullo, nella voce di un contadino che, nel denso silenzio della campagna siciliana, recita misteriosamente l’Orl a n d o.

Ed ecco apparire ciò che si compie, anche fugacemente, ma con tanta potenza interiore da riparare e colmare il dubbio dell’essere vivi. La memoria è dunque salvifica: scarta la condanna del ricordo, la svicola dalle corde del mito, rendendola lieve e, pertanto, libera dalla trappola dell’oblio.

L’artista sana, dunque, la propria lacerazione compiendo un gesto di disperata vitalità di pasoliniana memoria: una capriola in cui si svela l’energia terribile e sconosciuta del daimon. Tutto è santo, scrive Pasolini e Borruso, quasi a fare eco, riconosce all’intuizione del sacro lo spazio simbolico del rito da cui il teatro prende origine.

C’è un teatro dentro di noi, c’è sempre un teatro dietro qualsiasi pensiero - precisa in seguito, sottolineando che la rappresentazione, si compia o non si compia, risiede in un luogo che può chiamarsi anima e, ancor più laicamente, anima inquieta del Teatro, senza definizioni.

Dall’inchiostro affiorano variegate storie dell’essere. Prima fra tutte, quella incarnata nel volto di Michele Perriera, suo maestro, di cui conserva e ricorda una lettera degli anni ottanta. Un insegnamento di percorso che gli suggeriva la sfida di intrecciare continuamente il racconto alla vita, sfida che Gigi ha praticato con la tempra di un’inossidabile innocenza, necessaria alla conferma della sua vocazione.

O, ancora, l’esperienza di una messa in scena di Antigone rivisitata e vissuta nel quartiere Daisinni di Palermo in cui si coglie un’inedit a lettura del dramma. Nella risonanza poetica che Gigi Borruso ci propone, non solo si fronteggiano il giusnaturalismo di Antigone e il giuspositivismo di Creonte, ma emerge lo scontro fra un amore primigenio e il resto del mondo, fin qui mai così evidenziato. Nella scrittura tornano dunque le parole masticate che alterano il viso e rompono la maschera, così ci conferma citando il Discorso su Dante di Osip Mandel’ štam. E rotta la maschera ecco apparire lo stupore arreso dell’artista che in Gigi Borruso si manifesta con dolcissima maestria.

Così come sulla scena queste pagine giocano seriamente con ogni lemma per poi aprirsi in una leggerezza disarmante che si vorrebbe tenere accanto il più a lungo possibile. Ecco perché il teatro non è affatto in crisi, afferma con certezza, ma vivo nelle sue esigenze più profonde che non si arrendono alla crisi dei sistemi ideologici.

Domani, siamo certi, Gigi ci racconterà il resto. Ma già con questa narrazione ci rende testimoni del suo fare e del suo farsi poesia. Così come il suo personaggio Felice Sghimbescio sembra intanto salutarci augurando che il Teatro resti sempre più aperto con i suoi lavoratori di chiodo, di arte, di scopa che ci abballano vivi di sopra.

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