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L'insediamento della Consulta per lo Statuto autonomistico, l'anniversario è finito nell’oblio

Palazzo delle Aquile a Palermo

Sono trascorsi ottanta anni dal 25 febbraio 1945, quando, senza tanta pubblicità, nella sede neutra del Municipio di Palermo (esattamente nella Sala delle Lapidi di Palazzo delle Aquile), l’Alto commissario Civile per la Sicilia Salvatore Aldisio insediò la Consulta regionale, nominata 60 giorni prima e composta da 36 membri scelti, senza alcuna legittimazione popolare, fra i rappresentanti delle organizzazioni politiche, economiche, sindacali, culturali ed esperti di diritto pubblico, con il compito di «scrivere» la Statuto regionale.

Un fatto, comunque sia, di sicura rilevanza storica che, a dispetto delle previsioni, non ebbe il giusto rilievo (agli atti è rimasta traccia di un protocollare cerimoniale, qualche rara foto e stringati resoconti giornalistici) come quello che fu, invece, riservato, poco più di un anno dopo, al romano insediamento dell’Assemblea Costituente eletta dai cittadini elettori e chiamata ad elaborare, nell’arco di un anno e mezzo, la Costituzione della Repubblica.

La solennità dell’evento in questo caso è impressa nei libri di storia e in quelli di memorie dei protagonisti di allora, nei numerosi filmati, immagini fotografiche e, copiosamente, nei giornali e nelle riviste di allora, nelle lapidi e cippi che ornano saloni e corridoi del Parlamento italiano. Il Giornale di Sicilia, edizione del 26 febbraio ’45, pubblica una mera cronaca di ciò che avvenne il giorno prima nella sala comunale: «… La cerimonia, nella sua schietta semplicità, si è svolta in un’atmosfera di cordialità e nella consapevolezza dei problemi ai quali i Consultori sono chiamati, per affrontare e risolvere vecchi e nuovi compiti, nell’interesse della vita della Sicilia. Alle 11 precise entra nella Sala S.E. il Cardinale Lavitrano accompagnato da S.E. monsignor Di Leo. Frattanto prendono posto i Sottosegretari siciliani Rizzo, Montalbano, Paresce, Mattarella, giunti in aereo nella giornata di sabato. Al tavolo centrale prendono posto: S.E. Aldisio, il Sindaco Rocco Gullo, il dott. Cortese, il dott. Carlo Orlando, il dott. Li Causi. Sono presenti tutti i consultori al completo e i membri aventi diritto assieme ai rappresentanti dei sei partiti del Comitato Nazionale di Liberazione. Numerosi gli invitati e fra essi notati il gen. Carr in rappresentanza degli Alleati, accompagnato dal tenente De Bellis, mister Frantz capo del P.W.B. della Sicilia, il console d’America, il Procuratore generale, il Primo Presidente, il Comandante delle Forze Armate della Sicilia, il Comandante dei Carabinieri, rappresentanti della Marina, dell’Aeronautica e degli altri Corpi di stanza nella nostra Città, il Procuratore del Regno, il Presidente del Tribunale e numerosi altri».

Insomma, da un lato tutte le autorità al completo e dall’altro l’evidente diserzione dei cittadini dentro e fuori il Municipio. In quel frangente, ad onor del vero, la gente comune era fortemente preoccupata sia per la persistenza di indicibili ristrettezze economiche che per le tremende ferite belliche ancora sotto gli occhi di tutti. Con ogni probabilità, però, l’importante incontro potrebbe anche essere stato «snobbato» non tanto per come era stata trattata la questione separatista (ancora, in quel periodo, non del tutto archiviata), quanto per la discussa metodologia adottata dal governo pro tempore e dai neo costituiti partiti per far «nascere» la Regione autonoma di Sicilia.
Chi può negare che già la formazione stessa della Consulta sia stata, sotto diversi profili, una frettolosa operazione di puro potere senza alcun consenso o mandato popolare? I trentasei componenti del medesimo organismo, ripetiamo, non furono scelti dal popolo elettore, ma «designati», motu proprio, dal vertice dei sei partiti del C.L.N. e dall’Alto Commissario. Ciò che poteva costituire un fatto politico e democratico di grande portata storica per l’Isola e per l’intero Paese, è stato ridimensionato di significato. Persino l’approvazione dello Statuto, confezionato «in quattro e quattr’otto. Il che significa: non c’è stata una discussione». (cfr. Francesco Renda «L’Autonomia della discordia», intervistato da L. Buscemi), è avvenuto con regio decreto del 15 maggio 1946, firmato da Umberto II di Savoia, mentre in Italia era ancora vigente lo Statuto Albertino.

Per la Sicilia si aprivano nuove prospettive, però senza coinvolgimento popolare, emozionanti attese, passione civile e concrete speranze. Vizi originari che hanno inciso non poco, nell’arco di otto decenni, sul progressivo logoramento del rapporto cittadini–ente Regione e sulla integrale attuazione dello Statuto regionale che ormai mostra tutti i suoi limiti, insufficienze e inadeguatezza anche rispetto al ruolo strategico che la Sicilia potrebbe svolgere nel bacino del Mediterraneo e nel Paese essendo al tempo stesso una importante porta sud d’Europa e una regione fra le più popolate d’Italia.

Sembra che oggi non ci sia più memoria di un evento (l’insediamento della Consulta) che, comunque, ha segnato una tappa non secondaria nel lungo percorso della rinascita e del riscatto dell’Isola. Abbiamo aspettato fino ad oggi per ricordare ai nostri lettori il compimento del suo ottantesimo anniversario, perché speravamo davvero che i vertici delle istituzioni regionali e locali trovassero il tempo di farne cenno, visto che, pur con tutti i suoi limiti, si è in presenza di qualcosa che appartiene, nel bene e nel male, alla controversa storia della Sicilia contemporanea.

Spiace notare, in ogni caso, che nessuno degli inquilini dei piani alti dei Palazzi del potere della Regione e del Comune, di ieri e di oggi, si sia mai preso la briga di dedicare almeno una lapide allo storico avvenimento. A futura memoria e a prescindere della sopravvivenza del «vecchio» o superato Statuto autonomistico.

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