Si può portare in scena il senso di colpa? Può la giovane Thérèse rannicchiarsi su se stessa e far sì che quell’amore immenso e divorante che l’ha avvolta, diventi uno specchio deformante in cui non vuole più riflettersi? «È un viaggio poetico, sensitivo, sull’attaccamento su chi ci ha lasciato ed è scomparso. Ci chiediamo cosa ci lascino e quanto ancora ci turbino», dice Donatella Finocchiaro che da venerdì sarà in scena nei panni di Thérèse, protagonista di quel Thérèse Raquin di Émile Zola che a metà Ottocento scatenò una polemica feroce contro il suo autore, reo di descrizioni troppo ingombranti e poco neoclassiche.
Adattando il romanzo, il regista e autore Stefano Ricci ha costruito uno spettacolo profondamente contemporaneo che riflette sull’animo umano dilaniato e mai pronto a una confessione. Thérèse debutta venerdì prossimo e resta in scena fino al 2 marzo al Teatro Biondo che lo produce (e si spera, poi lo porti in giro). In scena con la Finocchiaro, ci saranno Alberto Carbone, Giulia Eugeni, Alessandra Fazzino; movimenti di Stellario Di Blasi, musiche di Andrea Cera e costumi di Gianluca Sbicca. Eleonora De Leo e Ricci hanno ideato un piano fortemente inclinato (difficilissimo da dominare per gli attori che saranno addirittura imbracati), una piramide rovesciata e colma di botole da cui balzano fuori come se addentassero la storia, la giovane Thérèse costretta dalla zia, che la campa, a sposare il cugino malaticcio Camillo: ma la ragazza non lo ama, la vita tra i due scorre monotona fino a quando irrompe Laurent, pittore perdigiorno che fa innamorare Thérèse e la convince che è necessario eliminare il marito. Laurent e la ragazza poi si sposano e restano in casa della zia, ma il loro amore è distrutto dai sensi di colpa: si elimineranno a vicenda sotto gli occhi della zia, ormai paralitica e muta, che assiste quasi felice al loro omicidio-suicidio.
«Della Théresè del romanzo c’è l’impossibile elaborazione del lutto, una tela di giustificazioni che i due si gettano in faccia – spiega Donatella Finocchiaro che ha raccolto la sfida di un lavoro molto fisico; e si prepara all’uscita del primo film dei Sansoni, dove è la parlamentare corrotta, mamma del “raccomandato” Gabriele Cicirello -: Ricci ha pensato di mettere in scena la preparazione di un film sul romanzo. Siamo Donatella, Alberto, Giulia, Alessandra che fanno riemergere i personaggi».
Ma chi è Thérèse? «Una che ha ucciso per assecondare i sensi. Presa dall’eros per Laurent, si lascia trascinare pur di vivere e conoscere l’amore e la passione. Che quando si sgretola, la ucciderà dinanzi a chi chiede solo vendetta e non si sazierà mai dello spettacolo».
Stefano Ricci ha costretto gli attori a un imponente lavoro sul corpo. «Mi ha incuriosito subito la scelta di iniziare un nuovo percorso basandomi su un romanzo naturalista, lontanissimo dal mio modo poetico e metaforico di fare teatro. Ma il senso di colpa di Thérèse è un trampolino per affrontare la desolazione e l’azzeramento dei valori morali di questo momento. E l’idea è quella che un volto riconosciuto come è Donatella Finocchiaro possa trovarsi in una bolla temporale, una cartina tornasole per ricollocare il dolore della perdita e la rielaborazione del lutto. Che sono di ieri come di oggi». Ricci ha interrotto il sodalizio con Gianni Forte. «Porto in scena quello che sono e lo faccio da sempre: non so quanto ci sia di identico prima o di differente ora, ma cerco sempre di essere molto agganciato al mio presente, dove trovano il giusto posto la scrittura e le rivendicazioni del passato: ci presentiamo al pubblico sempre come se fosse la prima volta, ma siamo abituati a fraintendimenti e aspettative rispetto a un segno molto forte: ma non si fa teatro portandosi dietro le proprie comfort zone».
Le foto della gallery sono di Rosellina Garbo

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