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Nino Giaramidaro, quelle bacchettate in punta di matita

La morte del giornalista, per anni capocronista del Giornale di Sicilia. I funerali alla Madonna dei Rimedi di piazza Indipendenza, a Palermo

Aveva quattro passioni incrollabili. La famiglia, la fotografia, il giornalismo. E le matite. Qua, al Giornale di Sicilia, dove a lungo ha ricoperto l’incarico di capocronista, a cavallo fra gli anni Ottanta e i Novanta, Nino Giaramidaro ha lasciato un segno umano e professionale che ancora i più anziani ricordano con affetto e nostalgia. È morto ieri, a 82 anni, dopo avere convissuto per circa un anno coi postumi di un malanno che lo aveva lasciato malconcio. Ma non tanto da non avere il piacere di incontrare vecchi colleghi e amici.

Là, in un angolo del grande stanzone del giornale, la figura di Ninuzzo era onnipresente. Di mattina, di pomeriggio, di sera. Faceva parte di quella schiera di giornalisti che entrava per prima e usciva per ultima. Il suo tavolo da lavoro era ordinatissimo a inizi della giornata e si complicava maledettamente col passare delle ore. Menabò, fogli dattiloscritti, tastiera del computer bucherellata dalla brace degli amatissimi toscani, i trucioli delle sue matite come traccia del suo passaggio. Ne teneva una serie, appuntite come piccoli pugnali, assieme alla sua stilografica. Disegnava le pagine con le mine affilatissime e poi cancellava, e poi ci ritornava nel tentativo di «appattare la settanta», cioè di riuscire a mettere tutte le notizie della giornata.

Placido, flemmatico, colto, di sinistra: era nemico della sciatteria. Era capace di fare riscrivere un pezzo fino a che parole e aggettivi in eccesso non fossero volati via, specialmente dagli articoli dei giovani che si affacciavano al mestiere. Quando portavi una notizia ti faceva una specie di interrogatorio sul perché e sul percome: insisteva, domandava, faceva l’avvocato del diavolo, individuava i punti deboli. Perché era così: se poi la storia non quadrava bene, se mancava di qualche appoggio solido, lui non la prendeva nelle sue pagine.

Era un uomo dolce, però. Difficile che alzasse la voce. Anche se qualche volta si faceva sentire. Era incapace di cattiverie che magari subiva. Non tendeva a creare gruppi e cordate dentro il giornale. In fondo era uno che cercava, come si dice, di levare la lite. Un uomo di pace. Era ligio al dovere. A volte troppo. Una volta dalla tipografia lo chiamarono, scusa Nino ma quaggiù abbiamo una pagina in più di cronaca. Lui sembrò riemergere da un sogno, è impossibile, disse con quell’accento «straniero» del Trapanese (era originario di Mazara del Vallo). Ma aveva ragione la tipografia. Quando mosse i primi passi nel mestiere, cominciò proprio dalle sue lande di provincia come corrispondente de L’Ora. Era la metà degli anni Sessanta, qualche anno dopo sarebbe entrato nella redazione di piazzetta Napoli. Era stato tra i primi a seguire il terremoto del Belice nel 1968. Con la sua macchina fotografica aveva anche ripreso le devastazioni del sisma con immagini di forte impatto emotivo.

Il primo incarico importante fu di andare ad aprire una redazione del quotidiano a Catania, ed era l’inizio degli anni Settanta. Per L’Ora ha firmato numerosi e significativi reportage fotografici. Proprio grazie all’interesse per il giornalismo fotografico, Nino Giaramidaro ha stretto rapporti di amicizia con alcuni dei più noti fotoreporter siciliani come Nicola Scafidi, Letizia Battaglia e Gigi Petyx.

I funerali sono in programma domani mattina, giovedì 30 maggio, alle 9,30, alla chiesa Madonna dei Rimedi di piazza Indipendenza, a Palermo. Alla famiglia di Nino Giaramidaro le condoglianze del Giornale di Sicilia.

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