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«Di me la notte sembra sapere», cinque storie di donne al teatro Fontarò di Palermo

Lo spettacolo di Enrico Stassi per raccontare il travaglio dell'universo femminile

Un sogno lungo settanta minuti per raccontare cinque storie di donne, diverse fra loro per epoca e genesi letteraria, accomunate da un medesimo destino: l’offesa della incomprensione, del non riconoscimento, della discriminazione di genere, della reclusione, dell’oblio.

Dopo il debutto la scorsa estate al Festival Orestiadi di Gibellina, arriva a Palermo «Di me la notte sembra sapere», lo spettacolo per la regia di Enrico Stassi con Maria Teresa Coraci ed Elena Pistillo. Scena e immagini video di Fabrizio Lupo, suono di Emanuele Sutera, luci di Alessandro Accardi, costumi di Giulia Pagano, realizzazioni Alfleila, elementi di scena Cetti Di Liberto.

Domani, giovedì 21 e venerdì 22 marzo alle 21, «Di me la notte sembra sapere» andrà in scena al Teatro Fontarò di Largo Lituania 10 (viale Strasbugo), che firma la produzione dello spettacolo.

Lo spettacolo

Cinque storie di donne, scritte da Maria Teresa Coraci, Diana Marta de Paco Serrano, Dacia Maraini, Alejandra Pizarnik, per un viaggio nell’universo femminile che, complice la notte, ne racconta il travaglio.

C’è Rosa, personaggio creato dalla drammaturga spagnola Diana Marta de Paco Serrano e tratto dal testo Aspettami in cielo… oppure no! (2015), che rivive, in un suo personale delirio comico grottesco, la tormentata vicenda d’amore con un uomo affetto da un grave disturbo. C’è Lucia Joyce, danzatrice e scrittrice, figlia di James Joyce e amante di chi allora ne era il segretario, Samuel Beckett, la cui vita fu contrassegnata da un lungo peregrinare in diverse cliniche psichiatriche. Maria Teresa Coraci ne rievoca la figura, descrivendo il “naufragio” della sua mente.

C’è Clitennestra, nella versione femminista immaginata da Dacia Maraini (I sogni di Clitennestra, 1978). Lo spettacolo ritaglia un momento di quest’opera: la figlia che fa visita alla madre internata e il dialogo impossibile che si dipana tra le due: Elettra, vestale dell’ordine patriarcale costituito, e Clitennestra, sovvertitrice di quell’ordine, che per questo terminerà i suoi giorni in un manicomio criminale. C’è la Dorina di Maria Teresa Coraci; Dora Maar, la fotografa e pittrice francese, una delle poche amanti di Picasso a non finire suicida. Lasciata dal pittore, Dora cadde in una profonda depressione che la costrinse a farsi ricoverare in una clinica psichiatrica, dove fu sottoposta a numerosi elettroshock.

C’è, infine, la storia pazzesca di Camille Claudel, allieva e amante del grande Auguste Rodin, e lei stessa scultrice di valore, internata dalla madre in manicomio fino alla morte: meglio pensarla pazza, che scandalosamente libera! Anche il personaggio di Camille viene restituito dalla scrittura icastica ed epistolare di Coraci (tratta dal romanzo Non finito, 2017).

Come in un sogno, la notte le accoglie tutte insieme, per dar loro parola e riconoscimento in un’unica emozione onirica. Eppure “Un giorno torneremo a essere”, recita il prologo iniziale della poetessa Alejandra Pizarnik (La figlia dell’insonnia, 2015).

«Cinque storie, cinque donne – dice il regista Enrico Stassi – che ci invitano a confrontarci con un tema purtroppo ancora attuale, quello della discriminazione di genere. All’indomani del debutto a Gibellina, tra i commenti che ho più apprezzato c’è quello di ‘spettacolo necessario’, perché è ancora necessario e importante parlare dei diritti negati delle donne. E sono apprezzamenti che riconoscono un senso a ciò che facciamo: in relazione alla drammatica attualità del tema trattato, certamente, ma anche riguardo alla funzione antica, tuttora vitale e direi necessaria di quel bellissimo e complicato mestiere che si chiama Teatro».

Nella foto di Fausto Brigantino, da sinistra Elena Pistillo e Maria Teresa Coraci

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