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Rigoletto tra bis e dieci minuti di applausi al Teatro Massimo di Palermo

L’opera nella versione che venne proposta da John Turturro nel 2018. Il sovrintendente Betta ricorda Abbado scomparso 10 anni fa: «Ci piace far volare i grandi colori di Verdi per abbracciarlo». Il baritono Enkhbat star della serata

«Ci piace far volare i grandi colori di Verdi per abbracciare il maestro Claudio Abbado»: e nel segno del ricordo del grande direttore, scomparso esattamente dieci anni fa, ha debuttato il Rigoletto, come spiega lo stesso sovrintendente, salendo in palcoscenico qualche minuto prima dell’inizio. Prassi non abituale, soprattutto per un musicista poco propenso alla ribalta come Marco Betta, ma il sovrintendente ci tiene parecchio.

Eccolo quindi il Rigoletto di John Turturro riportato al Teatro Massimo di Palermo dopo il primo debutto del 2018, e molto apprezzato anche ieri sera (20 gennaio): dieci minuti di applausi alla fine. Cinque anni fa aveva segnato il debutto alla regia lirica dell’attore americano, oggi viene ripreso da Cecilia Ligorio, che aveva già lavorato con Turturro all’allestimento precedente. Ma il vero protagonista della serata è Daniel Oren; amato (adorato) dal pubblico del Teatro Massimo, è riuscito come sempre ad attirare l’attenzione sull’orchestra. E per il Rigoletto della «star» Amartuvshin Enkhbat, baritono nato in Mongolia (dal camerino si viene a sapere che non parla altre lingue tranne la sua e… l’italiano) e sarà suo il bis della serata, possente nel Sì, vendetta.

A nome del presidente del Teatro Massimo, ha fatto gli onori di casa l’assessore comunale Maurizio Carta, che ha accolto in palco reale il presidente della Ses, editrice del Giornale di Sicilia e della Gazzetta del Sud, Lino Morgante, con la moglie Flora Rossano; e Antonello Cosenz, presidente del Circolo Bellini e console onorario di Lussemburgo. Il presidente del Consiglio comunale Giulio Tantillo – che ormai è diventato un habitué del palco reale - era invece accompagnato dalla giovane ed elegante figlia Daria.

In sala, un pubblico elegante e sobrio, da «prima» ma senza sfarzi, tranne sparuti smoking, un paio di mise in lungo, i soliti appassionati giapponesi spaesati e parecchi turisti tedeschi e americani; qualche nota di colore qua e là: l’estroso «di casa» Gigi Vinci – con cloche viola e ghingheri sbrilluccicanti, incline a definire la regia del Rigoletto, «non coerente storicamente, troppi pasticci, ma con belle voci» – ha dovuto cedere lo scettro a Nico Ceniviva, architetto bolognese che si è presentato con un mantello federiciano: fa parte di un gruppo di amanti ravennati della lirica, l’Associazione Amici di viale Baracca. «Scegliamo ogni anno le opere più interessanti del panorama europeo, e partiamo: qui siamo in quattordici, tutti amanti del bel canto, e applaudiremo la nostra Giuliana Gianfaldoni che oltre che bravissima è anche una cara amica». E che ha ricevuto un vero tributo quando ha affrontato Caro nome alla fine del primo atto: è stato un successo personale, che è durato veramente qualche minuto.

Applaudite tutte le voci, in parecchi ritornano sul palcoscenico del Teatro Massimo dopo aver già fatto parte del cast del 2018, a partire dal tenore peruviano Ivan Ayon Rivas (vincitore l’anno scorso del Premio Abbiati) un duca di Mantova che pesca dal Sud e sembra abbandonare le nebbie padane. «Un Rigoletto un po’ troppo classico, ma è anche vero che ormai i registi ci hanno abituato a troppi sconvolgimenti importanti» sorride Alba Ricercati mentre Alina Formigli «cancella» la «casetta del presepe», ovvero l’abitazione dove Rigoletto nasconde la bionda Gilda (la capigliatura pare di un rosa ambrato sotto le luci). Probabilmente John Turturro (nel 2018) aveva scelto di debuttare con un’impostazione da manuale, sicura, creando un gioco di scatole e pannelli mobili tradizionali per passare dalla corte mantovana (quasi seicentesca) al rudere di Sparafucile. E regalando a Rigoletto la sua gobba cinematografica come un fardello pesantemente sontuoso. I costumi sono di Marco Piemontese, le coreografie di Giuseppe Bonanno.

 

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