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Palermo, la vera storia di Vitti ‘na crozza nel libro di Sara Favarò

Nel volume, le origini e il vero significato del famosissimo canto siciliano

Un lavoro di ricerca lungo e complesso, durato circa 30 anni, quello della scrittrice Sara Favarò, che ai Cavalieri Hotel a Palermo ha presentato il suo ultimo libro, “La vera storia di Vitti 'na crozza: Autori, Misteri, Morte, Miniere” con la prefazione di Giuseppe Lo Bianco e edito da Giambra. Nel volume, le origini e il vero significato e tante verità nascoste della canzone più famosa del canto siciliano. “Vitti ‘na crozza per il mondo è una canzone allegra – spiega l’autrice Sara Favarò -. Gruppi folcloristici addirittura nel ritornello ridono e ballano con le mani sui fianchi ma non è allegra per niente. Quando ho cercato di tradurre il testo ho capito che parlava di morte. Crozza in dialetto è il teschio. Da lì ho deciso di studiare il canto e più andavo avanti più scoprivo la drammaticità del testo. Non è popolare, inventato chissà in quale secolo ma ha una data e delle circostanze dettagliate. E’ un canto di dolore e di protesta contro la Chiesa che non consentiva che si officiassero le esequie funebri per i minatori che morivano all’interno della miniera. Non permetteva nemmeno che si ricomponossero le loro ossa e non si suonavano le campane. Ecco perché nella prima quartina il teschio dice “chi gran duluri muriri senza toccu di camapani”.

Il giornalista e scrittore, Giuseppe Lo Bianco, sottolinea il gran lavoro di ricerca archivistica fatto per la realizzazione del libro. “L’opera affonda dentro le radici della storia siciliana meno esaltante perché riscopre la natura tutt’altro che allegra della canzone – dice Lo Bianco - che invece è un lamento di dolore, di disperazione del popolo siciliano e di coloro che hanno perso la vita dentro le miniere di zolfo”. Presente anche la docente e critico letterario Mariza Rusignolo.

“Con questo testo, Sara entra nel solco della grande letteratura siciliana di Verga, di Pirandello, di Alessio Di Giovanni – dice Rusignolo – che chiama queste miniere inferno vero. Già Sciascia aveva lodato questo poeta che scrive in siciliano e parla di queste zolfare e della vita ignobile che facevano questi uomini e sopratutto i bambini, i carusi. Sara restituisce dignità anche alle bambine, alle caruse, che lavoravano in queste miniere e venivano bistrattate e abusate. E’ una pagina nuova di letteratura e Sara Favarò le dà vita con un tocco di scrittura in cui si vede il suo pathos, la sua passione, per questa terra siciliana, tanto lodata da Goethe. Restituisce dignità letteraria non solo a una canto ma alla nostra lingua, il siciliano”.

nel video l’autrice Sara Favarò, il giornalista e scrittore Giuseppe Lo Bianco, la docente e critico letterario Mariza Rusignolo.

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