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Palermo, il primo secolo di Scuderi: «La Natività, ferita aperta»

Vincenzo Scuderi

L’elisir della memoria. Il sollievo di un tempo pienamente trascorso e ormai capace di essere vissuto come un dono. Ogni cosa di una lunga vita, salvata nel magazzino dei ricordi. Cento anni per un sovrintendente, cento anni festeggiati da Vincenzo Scuderi con un sorriso ampio. Una tenera sicumera data da una perfetta lucidità e dalla vicinanza di tre figli (Angela Maria, Felicetta e Giuseppe: tutti professionisti, l'ultimo è architetto ai Beni culturali della Regione) e sei nipoti maschi, di cui uno sacerdote, gli altri in giro per il mondo, senza dimenticare l'attenta badante Daniela. L'amatissima moglie Paola è mancata alcuni anni fa.

Il sovrintendente più longevo di sempre, con una carriera che ha attraversato due epoche: quella sotto l'egida statale e poi il passaggio autonomistico alla gestione regionale. Una vita da storico dell'arte cominciata a Trapani e proseguita in città, passando per competenze sull'intera Sicilia. Una seconda vita dedicata a Salvare Palermo, la fondazione che affianca le amministrazioni pubbliche nel difficile compito di strappare all’incuria opere d'arte e monumenti.

Vincenzo Scuderi è nato il 16 febbraio 1923, rivelato due giorni dopo, come accadeva allora quando si partoriva in casa: quindi il compleanno ufficiale è oggi. Mamma e papà contadini a Napola, frazione rurale trapanese. Un'esistenza in semplicità, interrotta quando si manifestano le sue doti a scuola. Le nota il suo insegnante, che convoca il padre: suo figlio ha voglia di studiare, fateglielo fare. Papà Giuseppe e mamma Angela si spostano in città e aprono un negozio. Si cambia e Vincenzo continua a prepararsi fino ad arrivare alla maturità. Indossa i calzoncini da balilla: «Era così per tutti - dice candidamente - fui anche avanguardista».

La guerra alle porte. Le cose andavano per le spicce e anche lì un'insegnante fu decisiva e gli consigliò di chiudere gli studi da esterno al liceo classico e non alle magistrali. Un colpo di fortuna che gli consentirà di iscriversi all'Università, a Lettere, e non al Magistero. Questi gli incontri cruciali, di quelli che segnano l'indirizzo di un'esistenza. Da studente sfollato (e per questo non chiamato alle armi), trascorse un periodo a Santa Flavia, dove ripararono migliaia di palermitani terrorizzati dai bombardamenti. La tesi, anche quella una svolta. Gliela assegna il professore e sovrintendente Filippo Di Pietro, riguarda il Complesso carmelitano di Trapani e la statua della Madonna trecentesca che vi fu conservata. Uno scoop, si direbbe in gergo giornalistico. Nel campo della storia dell'arte, invece, si trattò di un’inedita attribuzione a Nino Pisano.

È l'inizio di tutto. In mezzo ci sta una disavventura, legata alla sua frequentazione di colleghi universitari come Dino Grammatico, che non smise di essere fascista e fu poi deputato regionale del Msi: «All'arrivo degli americani - racconta oggi Scuderi con levità - fui arrestato e trasferito al carcere dell’Ucciardone, accusato di aver fatto parte del gruppo che voleva ricostituire il partito fascista». Era la fine del '43, la scarcerazione arrivò nel gennaio successivo per mancanza di prove. Nota a margine, difensore degli imputati fu Bernardo Mattarella, padre del presidente della Repubblica. Ne parla nel libro Il bosco di Rinaldo, di Sergio Marano.

Due anni dopo un ventiduenne Vincenzo Scuderi viene chiamato dal sovrintendente Di Pietro al Museo Pepoli, di cui aveva la cura a Trapani. Un incarico che durerà fino al 1965. Per lo mezzo c'è un grande lavoro di conservazione, catalogazione, sottrazione all'oblio di oggetti e volumi: un tesoro per Trapani. Arriva presto un altro interpello per la Sovrintendenza alle Gallerie e opere d'arte in Sicilia, la sede in via dell'Incoronazione. Quando furono istituite le sovrintendenze regionali gli restò (si fa per dire) Palermo.

Il terremoto del Belice del 1968 fa vittime persone e cose: «Mi misi in macchina per fare un giro fra le chiese di Salemi, Gibellina, Partanna per salvare ciò che si poteva: croci, dipinti, un patrimonio che sarebbe andato perduto». Scuderi modifica nel tempo gli itinerari dei suoi viaggi per chiedere risorse, dai ministeri alla Cassa depositi e prestiti per approdare alle stanze degli assessori regionali dopo il passaggio della tutela alle istituzioni siciliane. Rammenta di uno scontro con Luciano Ordile, democristiano e titolare dei Beni culturali: «Voleva collocare in un preciso momento la mostra del Monocolo, Pietro D’Asaro, e io dissi di no perché impegni precedenti lo impedivano. La cosa premeva anche al vero promotore, Leonardo Sciascia, col quale avemmo un chiarimento anche grazie alla comune amicizia con i Sellerio. La mostra si fece dopo. Io e lui ci capimmo».

Scuderi, metodo e qualche rigidità. E una spiccata abitudine alla scrittura di proprio pugno. Stamattina una festa a Palazzo Abatellis, dove si conserva la magnifica collezione di opere d'arte fra pittura e scultura con i Gagini, Laurana, amatissimi dal sovrintendente. Ci saranno gli attuali direttori dei musei, suoi successori (da Adele Mormino a Matteo Scognamiglio), gli amici di Salvare Palermo, restauratori che hanno lavorato sotto la sua direzione negli anni in cui, da pensionato, ha propiziato il recupero di gioielli come le virtù del Serpotta nella basilica di San Francesco d'Assisi, assieme ad Evelina De Castro (oggi alla guida dell'Abatellis) e a Mariny Guttilla.

La consapevolezza dei cent'anni si ritrova anche nel racconto che riguarda il furto della Natività del Caravaggio del '69. Furto per il quale, conferma, «Cosa nostra chiese un riscatto». È più volte tornato l'interrogativo su quale sia stato il suo ruolo in quella vicenda. Scuderi sgombra il campo da ogni dubbio, spiegando che l'Oratorio di San Lorenzo era nella gestione della Curia arcivescovile che ne aveva la piena responsabilità, attraverso il parroco Benedetto Rocco, che viveva lì accanto. «Poi c'è il racconto del collaboratore Francesco Marino Mannoia a Falcone - aggiunge Scuderi - nel quale si attribuisce la paternità del furto». Per il sovrintendente Cosa nostra aveva scoperto un nuovo filone: «A me fu riferito da un investigatore di allora che fu tesa una trappola alla cosca palermitana, facendo arrivare in nave un mercante d'arte che sarebbe stato interessato a comprare la tela rubata. Operazione che non andò in porto». La storia di questi giorni per Vincenzo Scuderi è quella di un alto custode delle arti siciliane che durante il suo lungo mandato ha pubblicato tutti gli anni un catalogo dei restauri e degli interventi portati a termine.
Cento anni vissuti con misura e conciliati con una solida fede. Confida: «A mia moglie ho sempre detto: “Mi bastano pane e cipudda”».

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