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«Io so chi siete», la battaglia per la verità sulla morte dell'agente Agostino è un film

Il 5 agosto 1989, a Villagrazia di Carini in provincia di Palermo, viene ucciso crivellato di colpi, l’agente di polizia Nino Agostino, sua moglie Ida e il bambino che porta in grembo.  È un omicidio al quale assisterà tutta la famiglia, la sorella Nunzia rimane ferita in quell’agguato e il papà Vincenzo e la mamma Augusta, inizieranno un nuovo cammino in cerca di verità.

Trent'anni di impegno e ricerca della verità

Questi trent’anni di impegno, di ricerca, di denuncia e testimonianza sono raccolti in un documentario dal titolo «Io lo so chi siete» presentato oggi a Roma dagli autori Silvia Cossu e Alessandro Colizzi, con la partecipazione del giornalista Attilio Bolzoni e Pif. Un’ora in cui la vicenda di questo papà diventato un monumento vivente alla memoria e all’impegno delle famiglie delle vittime di mafia, che con la sua barba e capelli lunghi, sono diventati un simbolo della verità che tarda ad arrivare.

La scelta di non radersi la barba

Vincenzo Agostino, protagonista di questo documentario, racconta la scelta di non radersi più finché i responsabili dell’omicidio non saranno assicurati alla giustizia, l’impegno che a 86 anni porta avanti nel racconto e la felicità dei genitori quando Nino aveva comunicato la decisione di entrare in Polizia. In quest’ora di film c’è tutto l’amore di un genitore che in trent’anni ha testimoniato in ogni parte d’Italia cosa vuol dire essere parente di una vittima di mafia in un paese dove spesso si rischia di rimanere senza un perché. Sulla tomba della moglie Augusta c’è scritto «una mamma in attesa di giustizia anche oltre la morte».

Il nuovo procedimento aperto

Il film è stato finito di girare nel 2020, ma a 32 anni dall’omicidio si è aperto un nuovo procedimento grazie al pm Roberto Scarpinato che ha visto condannato con procedimento abbreviato, Antonino Madonia come esecutore dell’omicidio, mentre per gli altri imputati il processo è ancora in corso. La vicenda di Nino Agostino, poliziotto di giorno e agente dei servizi segreti alla caccia dei latitanti, si è connotata per i depistaggi che sono iniziati fin dalla sera dell’omicidio, una delle prime piste seguite fu quella passionale, poi la distruzione dei documenti custoditi in casa e il coinvolgimento di Scarantino usato ancora una volta come vittima sacrificale a cui imputare le responsabilità. Ma il papà dell’agente fin da subito indica un altro soggetto, avvistato nei pressi dell’abitazione pochi giorni prima l’attentato, si tratta di «faccia da mostro», riconosciuto come Giovanni Ajello nel 2016. Prima che venga interrogato Ajello morirà per un infarto, che Vincenzo definisce «di Stato». Ancora una volta un’opera divulgativa rende giustizia alle vittime di mafia, alle loro storie che rischiano l’oblio e ai loro famigliari che con ostinazione continuano a credere nella giustizia.

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