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"Latitudine palermitana", indagini sull'animo nel romanzo di Aldo Sarullo

La scrittura è una costante nella vita di Aldo Sarullo, drammaturgo, autore tv, opinionista per vari quotidiani, ghostwriter di politici e imprenditori, anche internazionali. Un curriculum cosmopolita che non cozza col suo essere palermitano.

Nella sua città è tornato da un anno e s’è messo all’opera «per riagganciarmi – come spiega – secondo il modo iniziale alla mia vita di scrittore». Il suo «Latitudine palermitana» (288 pagine, 20 euro), pubblicato dalla casa editrice Qanat, potrebbe essere sorprendente per chi non ha mai letto Sarullo o per i più giovani.

A loro si rivolge l’autore: «Non scrivo per autoreferenzialità, ma per essere utile e letto. Mi piacerebbe che chi non ha molti anni, leggendomi, si allenasse ad accorgersi della vita. Il mio protagonista lo fa momento dopo momento. Anche io mi sono trovato a fare qualcosa del genere, vivere accorgendomene: un nutrimento che evita di raccontare e raccontarsi l’impostura e la mitologia di sé».

Matteo Collura garantisce nella prefazione: «In questo diario di un’iniziazione – questo leggerete – c’è il dramma, l’allegria, il senso e il nonsenso dell’esistenza, dei suoi insondabili misteri». Con la lettura ci si immerge in una Palermo del tempo che fu, ma senza rimpianti o sentimentalismi, con gli occhi di chi scopre e conosce il mondo: la Palermo delle «mafaldine zuccherate», di Franco e Ciccio agli albori, di Giuni Russo agli esordi in spettacoli parrocchiali.

Una Palermo antropologica, ritratta con una scrittura che è protagonista, anche con ironia, microcosmo incantato e duro. Da realismo magico e da realtà spietata.

 

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