Andava pazzo per la pasta con le vongole… senza le vongole, perché era vegetariano. E da uno come Pino Caruso ti potevi aspettare questo e altro: si faceva preparare la pasta e toglieva le vongole, ad una ad una; ma viaggiava anche con le panelle in valigia, e le scorce di cannolo - “la ricotta deve stare a parte sennò li ammolla” –, siciliano quanto basta per vivere di rimpianti. Pino Caruso ci manca.
Con quella sua ironia affettuosa e perfida, i capelli bianchi da anziano, gli occhiali da nonno, l’abbronzatura da adolescente e il sorriso da ragazzino, le strette di mano per tutti e le telefonate alle 7 del mattino perché gli avevano cancellato un treno e lui si doveva lagnare, contro questa Italia che dimenticava il Sud, perché si sa, l’aereo Caruso non lo prendeva mai. “Pozzu moriri pi’ corpa dell’aereo solo se mi cari supra ‘u trenu”. E stop, non si discute. Anche se lo invitavano in America.
Ad un anno dalla sua scomparsa, manca quel suo modo signorile di chiedere, la làstima che arrivava sempre alla fine di ogni conversazione, “mi hanno dimenticato”. Non se ne dava pace, non voleva lapidi, gli sarebbe bastata una sedia, una poltrona magari in quel Teatro Biondo verso cui aveva anche allungato il collo, quando allontanarono Pietro Carriglio. Ma non ci fu nulla da fare, lo fece intendere a tutti, persino alle pietre che, appunto perché son tali, restarono in silenzio.
“Una persona straordinaria che ci manca tantissimo. Ha avuto meno di quello che meritava”. Salvo Ficarra e Valentino Picone sono stati un po’ i suoi figli adottivi. “Ci hanno sempre paragonato a Franco e Ciccio, forse perché siamo in due, ma noi ci siamo piuttosto riconosciuti nella 'mano' di Pino, in quella sua comicità arguta che non siamo mai riusciti a raggiungere”. I due comici conobbero Pino Caruso vent’anni fa, anche qualcosa di più, poco dopo la stagione felice di Palermo di Scena. “Noi iniziammo nel ‘93 e qualche anno dopo ci invitarono a Zelig. Pino ci venne incontro, aveva seguito in disparte, ci fece i complimenti. 'Voi abitate a Palermo? Io non vi ho mai visto, ma perché non avete presentato un progetto per il Festino?'. Gli rispondemmo che aveva detto pubblicamente che non voleva comicità, ma lui scacciò via la frase … Da quel momento non ci siamo più lasciati, 23 anni spesso insieme, ci è rimasto l’enorme dispiacere di non arrivare in tempo per il suo funerale, perché eravamo in Marocco per i sopralluoghi de “Il primo Natale”, l’unico film che non siamo riusciti a raccontargli. Pino Caruso veniva a vedere i nostri spettacoli, gli mandavano le idee dei film, lui appuntava commenti, spiegava. Quando gli parlammo de 'L’Ora legale', rispose, 'giusto, è geniale. Effettivamente se il limone è aspro, non è colpa del frutto ma dell’albero. Noi siamo i limoni e i politici sono l’albero'”.
Restano i ricordi, e i tantissimi appunti. “Non ha smesso di scrivere fino all’ultimo istante. Ha corretto le sue cose, ci mandava tutto, voleva che avessimo ogni sua riga”. Caruso che meravigliava quando … “metteva in pratica le cose che pensava. Per esempio quando facemmo insieme 'Pierino e il Lupo', lui ancora fumava. L’anno dopo, non fumava più. Gli dicemmo 'ti sei tolto il vizio' e lui 'io sono vizioso, amo i vizi. Mi sono preso il vizio di non fumare'”.
Vegetariano e non della prima ora. Altro aforisma. “Un animale non si può difendere da vivo, lo può fare solo da morto. Mangiarsi con gusto un animale è assassinio premeditato a scopo di libidine. Digerirlo, è occultamento di cadavere”. “Quando abbiamo raccontato queste frasi, sono diventate vegetariane un sacco di persone”.
Un persona speciale. “Comico grandissimo, intellettuale d’eccezione, una dignità enorme. E innamorato di Palermo. Quanto gli piacque 'Pierino e il Lupo'! Si era trasferito all’Hotel delle Palme, lo andavamo a prendere ogni giorno, caffè da Spinnato, poi a piedi fino al Teatro Massimo. Ci mettevamo tre ore perché lo fermavano ad ogni passo, discuteva di tutto con tutti, dal calcio alla politica”. L’ultimo ricordo è di Salvo Ficarra. “Ho sempre conservato un autografo di Pino Caruso del 1977, mio padre e suo padre erano amici. Qualche anno fa gli ho chiesto di 'rinnovarmelo' e lui lo ha fatto, ha firmato di nuovo la sua foto”.
Alfio Scuderi si andò a proporre: nel 1995 aveva 22 anni e voleva fare teatro. Ma la Palermo di quegli anni era pesante, o palcoscenico impegnato o ironia con Burruano e Sperandeo. “Era l’anno di Palermo di Scena, mi presentò Vittorio Zingales. Incontrai Pino Caruso a Villa Giulia, aveva appena lasciato il sindaco Orlando, li avevo visti seduti insieme su una panchina. Mi avvicinai, gli chiesi di fargli da assistente volontario: fu l’inizio di un’incredibile amicizia e straordinaria avventura. È stato Pino ad avviarmi a questo lavoro: devo a lui e a quel progetto, la passione, il rapporto con gli artisti, la gentilezza con le maestranze, la convinzione che non bisogna mai tirarsi indietro. Lui mi presentava come suo vice, anche se ero un piccolo uomo: lo fece con Nanni Loy, con Dario Fo e Franca Rame, con Monica Maimone e Valerio Festi, persino con Ryuichi Sakamoto. Ricordo la sua faccia quando, a Villa Trabia, scoprì che il palco che l’avrebbe dovuto ospitare era giallo e rosso. 'Se Sakamoto u’ viri, ci girano l’uocchi e sinni va’'. Passammo la notte prima del concerto con il pennello in mano, a dipingerlo di grigio”.
Una cosa bella … “la generosità, soprattutto nei confronti dei giovani. Ha tenuto a battesimo Claudio Gioè e Virginia Alba, ha voluto bene a Salvo e Valentino, ogni domenica aveva un appuntamento fisso con Marcello Mordino per le partite e le panelle. Ma era difficile fargli cambiare idea, non era presunzione, ma passione, nel bene e nel male”.
Il dolore, “sono stato dimenticato". “Avrebbe meritato un riconoscimento maggiore: Palermo di scena ha cambiato il modo di fare cultura in questa città, era la prima volta che il teatro usciva dalle sale e occupava palazzi diroccati, parchi, giardini … E noi andavamo in giro, sul mio motorino scassato, per controllare, conoscere, salutare tutti. Con una sola frase, la sua, “mi raccomando, non perdiamoci di vista”. Mai.
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