PALERMO. Aveva scelto una vita appartata e una carriera artistica solitaria. In qualche modo Franco Scaldati, morto a 70 anni dopo una breve malattia a Palermo, si riconosceva nei personaggi surreali del suo teatro: un po' saggi e un po' folli, immersi nella poetica stravaganza di una umanità derelitta.
Questa era del resto la cifra del percorso artistico di Scaldati, cominciato a metà degli anni Settanta con la 'Compagnia del sarto'. C'era già nel nome un richiamo alla sua condizione e alla sua origine. Scaldati era cresciuto in un quartiere popolare. Il padre, proprietario di due bar, aveva
pensato per lui un'ascesa sociale, ma quel ragazzo introverso e taciturno non aveva alcuna voglia di studiare. Dopo la quinta elementare preferì andare a lavorare in una sartoria frequentata da personaggi dello spettacolo. Fu così che incontrò il teatro.
L'esordio nella recita di un testo di Luigi Capuana, al teatro Biondo, fu la prima tappa di un percorso di attore ma anche di autore e di regista. Con il 'Pozzo dei pazzi', rappresentazione originale del teatro della vita palermitana, raggiunse una notorietà nazionale rilanciata da almeno altre due opere: 'Attore con la o chiusa' e 'La gatta di pezza'.
A un certo punto anche il cinema ha scoperto il mondo di Scaldati, il suo paradigma di una vita "orrida e vera". Inevitabile, lungo questa strada, l'incontro con Daniele Ciprì e Franco Maresco. Quindi l'apparizione in due film di Pasquale Scimeca ('I briganti di Zabut' e 'Il giorno di San Sebastiano'), in 'Kaos' di Paolo ed Emilio Taviani. Giuseppe Tornatore lo ha poi chiamato per 'L'uomo delle stellé e per 'Baaria', in cui Scaldati ha interpretato il ruolo di un fotografo.
Ma era il teatro, più che il cinema, a rappresentare meglio l'impegno e la ricerca di Scaldati che negli ultimi tempi era ritornato da dove era partito: un quartiere popolare, in questo caso l'Albergheria, dove aveva proseguito il suo rapporto ininterrotto con la poesia surreale. Ma senza abbandonare il legame antico con il teatro Biondo di Palermo.
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