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La Corte europea condanna l’Italia: «arbitraria» la confisca dei beni a un rapinatore palermitano

La decisione di Strasburgo riguarda Giuseppe Isaia, 59 anni, la moglie e il figlio: la violazione comporta la restituzione delle proprietà o, in alternativa, un risarcimento economico

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per violazione del diritto di proprietà nel caso di Giuseppe Isaia, 59 anni, della moglie e del figlio, residenti a Bagheria e difesi dall’avvocato Antonio Turrisi. Con una sentenza depositata ieri, i giudici di Strasburgo – sei voti favorevoli e uno contrario – hanno stabilito che la confisca dei beni disposta dai tribunali italiani ai sensi del codice antimafia era sproporzionata e non rispettava le garanzie previste dalla Convenzione europea.

Si tratta di un appartamento in un complesso popolare, un terreno con fabbricato, un magazzino, un’auto e diversi conti correnti intestati anche ai familiari, acquistati tra il 2010 e il 2018, cioè in un periodo successivo agli ultimi reati contestati a Isaia, risalenti al 2008. Il sequestro era scattato nel 2018 e la misura era stata resa definitiva nel 2020.

Secondo i giudici italiani il reddito dichiarato era incompatibile con gli acquisti, ma a Strasburgo la ricostruzione è stata ribaltata: il collegio presieduto dalla giudice Ivana Jelić ha parlato di «carenze gravi e manifestamente incompatibili» con la legge nazionale, tanto da considerare la misura «imposta in modo arbitrario o manifestamente irragionevole».

In un altro passaggio la Corte ha espresso «serie preoccupazioni» sulla normativa che consente di avviare procedure simili non solo per mafia, droga, corruzione e riciclaggio, ma anche per altri reati e perfino per violazioni amministrative. La sentenza non è ancora definitiva: entro tre mesi le parti possono chiedere il rinvio alla Grande Camera, ma in assenza di ricorso l’Italia dovrà restituire i beni o pagare un risarcimento.

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