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Il ricordo di Dalla Chiesa, Piantedosi: più agenti in città

Il prefetto dei cento giorni. Così è rimasto impresso nella memoria Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso il 3 settembre 1982 insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente di scorta Domenico Russo. Dopo avere guidato con successo la lotta contro le Brigate Rosse, era arrivato in Sicilia con il compito di affrontare Cosa nostra. Ma fu lasciato solo in quella sfida, che pagò con la vita. A quarantatré anni dall’eccidio di via Isidoro Carini, la città ha reso omaggio alla sua figura con una cerimonia solenne, alla presenza di autorità civili, militari e religiose, di studenti e di semplici cittadini. Attorno alla targa che ricorda il sacrificio del generale sono state deposte numerose corone di fiori.

Presenti, il sindaco Roberto Lagalla, il prefetto Massimo Mariani, il procuratore capo Maurizio De Lucia, l’assessore regionale ai Beni culturali Francesco Paolo Scarpinato e le massime autorità civili e militari, che hanno accolto anche la visita istituzionale del presidente della commissione Antimafia Chiara Colosimo e del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, il quale ha annunciato un rafforzamento della sicurezza in città: «Arriveranno diverse decine di agenti a Palermo entro la fine dell’anno. La mafia oggi uccide di meno, ma non è meno pericolosa: inquina l’economia e le istituzioni. Il metodo Dalla Chiesa, fatto di ostinazione e dedizione, resta un esempio per tutti».

Accorato il messaggio del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha definito il ricordo dell’agguato «un monito costante alla responsabilità e all’impegno comune». Il Capo dello Stato ha ricordato il rigore con cui Dalla Chiesa affrontò terrorismo e mafia, pur sapendo a cosa andava incontro e si è poi rivolto «alle famiglie Dalla Chiesa, Setti Carraro e Russo cui rinnovo i sentimenti di vicinanza e riconoscenza della Repubblica». Dal Senato è arrivato il pensiero del presidente Ignazio La Russa, che ha parlato di «sacrificio che resta esempio di lotta alla criminalità organizzata», mentre il presidente della Camera Lorenzo Fontana ha richiamato «il dovere morale di non dimenticare una delle pagine più buie della nostra storia recente». Il presidente della Regione Siciliana, Renato Schifani, ha voluto ribadire che «Dalla Chiesa continua a costituire un faro di legalità per le generazioni presenti e future», mentre il sindaco Lagalla ha sottolineato che «ricordare Dalla Chiesa non è solo un dovere civico, è un atto politico e morale. A chi considera questi momenti semplici rituali, rispondiamo con l’impegno quotidiano. La memoria, se non è azione, è complicità».

Il generale è stato ricordato anche nella caserma a lui intitolata, sede del Comando legione carabinieri Sicilia, dove Dalla Chiesa, da alto ufficiale, ricoprì il ruolo di comandante dal 1966 al 1973: il comandante interregionale Culqualber, il generale di Corpo d'armata Claudio Domizi, il comandante della Legione carabinieri Sicilia, il generale di brigata Ubaldo Del Monaco e il comandante provinciale di Palermo, il generale di brigata Luciano Magrini hanno deposto una corona d'alloro al busto dedicato al generale. Poi, la messa in Cattedrale celebrata dall’arcivescovo Corrado Lorefice e il passaggio di testimone della memoria alle nuove generazioni in corso Vittorio Emanuele, dove dove alcuni bambini hanno deposto un omaggio floreale al cippo commemorativo. Un gesto, quello compiuto alla presenza delle autorità e dei familiari delle vittime, che «ha rappresentato un segno di speranza e un impegno a costruire un futuro libero dalla violenza e dal sopruso, nel nome degli ideali difesi dal generale Dalla Chiesa» ha detto il comandante Domizi.

Che ha poi ricordato quando ebbe l’onore di stringere la mano «al nostro grande Generale - ha continuato -. Ero allievo dell’accademia militare di Modena, era il 30 aprile 1982, eravamo a Pastrengo, e il generale al termine della cerimonia raggiunse il reparto degli allievi ufficiali dell’accademia di Modena e volle salutarci uno ad uno: ricordo quello sguardo pronto diretto, carismatico, ispirava rigore ma nello stesso tempo rivelava un senso di umanità. Ci aveva promesso che ci avrebbe raggiunto in accademia. Ma non fu così: cento giorni dopo incontrò il suo tragico destino.

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