È stato commemorato oggi al Policlinico di Palermo il medico e docente universitario Paolo Giaccone, nel 43esimo anniversario dell’assassinio. Hanno preso parte alla cerimonia davanti al cippo in memoria del medico legale, il presidente della scuola di medicina e chirurgia, Marcello Ciaccio, la direttrice dell’azienda ospedaliera, Maria Grazia Furnari, il prefetto di Palermo Massimo Mariani, la figlia Milly Giaccone e l’assessore Pietro Alongi del Comune di Palermo. Presenti anche rappresentati delle forze dell’ordine e magistrati. L’11 agosto 1982, a Palermo, la mafia uccise il medico legale con 5 colpi di pistola. Un delitto per il quale sono stati condannati l’esecutore materiale, Salvatore Rotolo, e i mandanti, i boss Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Francesco Madonia, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci. La condanna a morte per il professore fu decisa in seguito al suo rifiuto di modificare una perizia su un’impronta digitale, quella di Giuseppe Marchese, che lo avrebbe incastrato per una sparatoria con 4 morti a Bagheria, avvenuta a dicembre del 1981. Non ci fu verso: Giaccone, nonostante le ripetute pressioni, scelse di onorare la sua professione e l’incarico che aveva ricevuto dalla Procura. «Ricordare Paolo Giaccone, oggi, non è un atto formale né un semplice dovere istituzionale: è una necessità morale. L’11 agosto 1982 non fu solo l’ennesimo delitto di mafia. Fu un gesto di sfida brutale contro la libertà della scienza, contro l’autonomia della coscienza, contro l’idea che esista un limite invalicabile oltre il quale nessun potere può spingersi. Paolo Giaccone non era un eroe in cerca di gloria. Era un uomo rigoroso, che faceva bene il proprio lavoro e che credeva che la verità non fosse negoziabile. Per questo è stato ucciso. L’omicidio tra i viali del Policlinico voleva rappresentare un messaggio di paura da parte della mafia. Ma, a distanza di 43 anni, quel messaggio è fallito. È fallito perché il nome di Paolo Giaccone oggi è inciso nella memoria di questa città, non come simbolo di morte, ma come testimonianza viva di dignità e coerenza». Lo dichiara il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla.