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Pizzo a Ciminna, la vittima: «Pagai tre anni per paura»

Il commerciante testimonia al processo col rito abbreviato contro due imputati: «Se dovessero ripresentarsi, non so come finirebbe». Il boss Sal Catalano è in ordinario

Ha raccontato in aula gli stessi passaggi già denunciati ai carabinieri e confermati davanti ai pm Giacomo Brandini e Andrea Fusco. Con voce ferma e senza esitazioni, la vittima dell’estorsione, proprietario di un bar tabacchi a Ciminna al centro dell’inchiesta che ha portato all’arresto di Filippo Cimilluca, Vito Pampinella e Salvatore Catalano, ha ripercorso le tappe di quella che ha definito «una società occulta imposta con la forza», ribadendo di essersi piegato alle pretese dei suoi estorsori per paura.

L’udienza (a presiedere il collegio giudicante è Sandro Potestio, affiancato dai giudici Alessandro Quattrocchi e Maria Aiello) si è svolta nell’ambito del processo in abbreviato a carico di Cimilluca e Pampinella: Catalano, invece, viene giudicato con rito ordinario in un procedimento separato.

Il commerciante – parte civile nel procedimento insieme all’associazione antiracket – ha confermato in ogni dettaglio le accuse nei confronti degli imputati. È stato proprio il supporto della rete di Addiopizzo a convincerlo, dopo anni di silenzi e paure, a denunciare quanto stava subendo. Alla fine, assistito dall’avvocato Salvatore Caradonna, ha trovato la forza di testimoniare nel processo mentre l’associazione è rappresentata dall’avvocato Serena Romano.

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