
Corrado Lorefice invoca la speranza di fronte al buio che ci apparecchia il futuro. Ma butta via ogni diplomazia e scopre il velo sulla città violenta e pericolosa, sul governo che «non sembra prendersi cura delle nostre ferite». Perché è «la città del governo e dell’Assemblea regionale e dobbiamo ancora registrare che la politica non sembra prendersi cura delle vecchie e nuove ferite della nostra terra, ma, tra veli e maschere, tralascia i veri interessi pubblici a favore di interessi privati o di parte, di gruppi di potere».
L’arcivescovo, nel discorso del giorno del Festino, parla di una città «tormentata: la violenza dilaga per strada, di giorno e di notte, colpisce le nostre attività commerciali e le nostre case, le piazze e i vicoli della città vecchia. Basta pensare alla strage di Monreale, alla spedizione punitiva nei confronti della Cioccolateria Lorenzo e ai tentati stupri dei giorni scorsi».
Lorefice, nel messaggio alla città, utilizza la chiave del cuore e della fede per indicare la strada da percorrere nella notte. Perché è «come se la disperazione abitasse nelle nostre case, nella nostra vita. È la stessa disperazione dei palermitani oppressi dalla peste in quei giorni del 1624». L'arcivescovo torna sui temi della guerra, dell'umanità dolente, del dolore delle popolazioni. E se la prende con chi usa le armi e anche con chi vuole riempire gli arsenali.
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