
Rito abbreviato accordato e una lettera di scuse alla vittima. La prima udienza del caso di Joseph Decker, il giovane americano di 23 anni, che la notte tra il 13 e il 14 dicembre ha sferrato dieci fendenti a un cittadino straniero di origine bengalese in via Argenteria alla Vucciria, dura pochi minuti, ma riserva subito una sorpresa. Del contenuto della lettera non ne sono al corrente neanche i suoi avvocati, Dario Falzone e Michele Della Vedova.
Erano a conoscenza che il ragazzo, studente di legge a pochi mesi dalla laurea e con un tirocinio al Congresso americano già nel suo bagaglio di esperienze, stava scrivendo qualcosa. Ma le parole precise sono sconosciute anche a loro. E saranno svelate soltanto all'esame, fissato in autunno. Il giovane, che deve rispondere di tentato omicidio aggravato dall'uso dell'arma, comincia a mettere in pratica la lingua italiana che ha iniziato a studiare nella cella del Pagliarelli dove è detenuto. Vocabolario da un lato e libri sull'ordinamento giuridico dall'altro così da poter seguire bene il processo a suo carico.
Quando entra in aula lo fa in contemporanea alla vittima delle sue coltellate. Su Decker si vedono i segni dei sei mesi passati in carcere: ha i capelli più lunghi e pettinati di lato, la camicia e i pantaloni che indossa gli stanno larghi. I suoi occhi corrono lungo tutta l'aula osservando dettagli e persone fino a quando non incrociano lo sguardo della vittima, che si è accomodata nei banchi opposti. Il giovane bengalese è basso, magrolino, indossa jeans, maglietta e scarpe sportive; è accompagnato dall'avvocato Davide Iacono e si è costituito parte civile. È sereno.
«Lei parla italiano?», chiede il giudice Patrizia Ferro a Decker, che prontamente risponde: «Sì, parlo un poco italiano». Il giovane americano chiede di poter consegnare la lettera al giovane bengalese, ma il giudice Ferro è di altro avviso: «La leggerà all'esame».
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