Maxievasione dell'Iva, il business non si è fermato con le indagini
Nonostante gli arresti, i sequestri e le indagini in corso, le associazioni criminali coinvolte nella maxi-evasione all’Iva comunitaria, scoperta dagli uffici di Palermo e Milano della Procura Europea, e, con loro, gli imprenditori che sfruttano il sistema, invece di fermarsi «si sono prodigate per rendere ancora più sofisticato il procedimento di elusione dell’IVA e assicurazione dei proventi illeciti, coinvolgendo imprese conduit di altri Paesi europei, adottando cautele (come dotarsi di sistemi di comunicazione criptati e utilizzare società con sede in Paesi extra U.E. per convogliare i profitti illeciti), prezzolando soggetti in grado di acquisire e rivelare notizie investigative ancora coperte da segreto e reclutando professionisti (legali e commercialisti) per assistere i singoli associati in caso di necessità». Lo scrive il gip di Milano che ha disposto l’arresto di 11 persone accusate, a vario titolo, di associazione a delinquere transnazionale aggravata da agevolazione mafiosa e camorristica finalizzata alla commissione di frodi iva e riciclaggio. Le frodi, concentrate nelle vendite di materiale elettronico, in particolare di materiale elettronico, venivano realizzate sfruttando il regime di non imponibilità ai fini Iva previsto per le operazioni commerciali intracomunitarie, inserendo in un’operazione tra imprese di Paesi diversi un soggetto economico fittizio, la cosiddetta «cartiera» (o società fantasma), che acquistava la merce dal fornitore comunitario senza l'applicazione dell’Iva per poi rivenderla ad un’impresa nazionale (anch’essa coinvolta) con l’applicazione dell’Iva ordinaria italiana. E in questa fase si realizzava la condotta fraudolenta, in quanto la società «cartiera», invece di vendere la merce maggiorata del proprio utile e versare l’Iva incassata dalla sua cessione, la vendeva sottocosto senza versare all’Erario l’imposta indicata nella relativa fattura. Il danno per l’Unione Europea era costituito dall’Iva indicata nelle fatture emesse dalle «cartiere», che avevano acquistato la merce senza applicare l’imposta e che la collocavano sul mercato nazionale applicandola invece al compratore, senza però versarla all’Erario, ma ripartendola tra i complici che facevano guadagni enormi. Le mafie, entrate a far parte della frode fornendo provviste finanziarie e riciclando così il denaro sporco intascato con altre attività criminali, lucravano con pochi sforzi.