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L’Asp si sveglia ma il paziente nel frattempo è già morto

«Buonasera, chiamo dall’Asp, a suo padre è stato attivato il piano di riabilitazione fisioterapica domiciliare». La telefonata a Giacinto Vaccarella, questore in quiescenza, è arrivata il 16 giugno. Ma il papà era passato a miglior vita nell’ottobre 2024.

Antonino Vaccarella già in passato era rimasto vittima dei ritardi della sanità siciliana. Nel dicembre 2023, a lui invalido civile al 100%, recatosi con il figlio Giacinto allo sportello dell’Asp per il riconoscimento dei benefici previsti dalla legge 104/92, era stato detto di ripassare dopo due anni. Antonino allora di anni ne aveva già compiuti 102. Una beffa per un uomo che nel gennaio 2023 aveva ottenuto nel capoluogo il riconoscimento di una targa nel Giardino dei Giusti, alla presenza del sindaco Roberto Lagalla, per avere sottratto cittadini ebrei ai rastrellamenti nazisti nel 1943 a Roma, durante il servizio militare.

Il nuovo, recente ma non isolato, episodio, rappresenta la cartina di tornasole di un sistema carente, quello dell’assistenza domiciliare ai pazienti cronici fornita dai 5 Pta (Punti territoriali di assistenza) che fanno capo al distretto 42 della Città Metropolitana.

L’attesa per ricevere il trattamento previsto dal piano riabilitativo va da un minimo di 6 ad un massimo di 12 mesi e più. Una condizione drammatica per paraplegici, allettati e altri malati cronici impossibilitati a recarsi presso i centri di riabilitazione.

Una volta entrati nel programma assistenziale, i pazienti difficilmente ne escono fuori. «Non c’è turnover - spiegano dagli uffici dell’Asp -. I nuovi pazienti devono aspettare che si liberi un posto per cominciare le terapie, e l’attesa media supera abbondantemente l’anno».

Un’altra radice del problema affonda sulla carenza di personale medico e amministrativo nei Punti territoriali di assistenza. L’organico è insufficiente per smaltire con celerità le pratiche dei pazienti in ingresso, come di quelli che vanno rivalutati al termine di un periodo di trattamento. «Una mole di lavoro che un singolo dirigente medico, affiancato molto spesso da un solo amministrativo, non riesce a smaltire».

Il personale assunto negli ultimi anni è insufficiente a sostituire quello andato in pensione. Ai concorsi si presentano meno candidati dei posti messi a bando. Altre volte le prove vanno deserte. E poi alla macchina organizzativa manca il vertice. Daniela Faraoni a gennaio, appena nominata assessore regionale alla Salute, ha lasciato vuota la poltrona di direttore generale dell’Azienda sanitaria provinciale che la giunta Schifani non è ancora riuscita a riassegnare.

Ma per i malati cronici il calvario comincia già dal momento in cui il medico curante invia all’Asp la richiesta di visita domiciliare specialistica. A quel punto i responsabili del cosiddetto ufficio H devono inviare un medico, di solito un fisiatra o un neurologo (o per gli over 65 un geriatra) al domicilio del paziente per certificarne le reali necessità. Ma capita, in alcuni Pta, che l’unico specialista in servizio sia andato in pensione e non sia stato sostituito per mesi, cosicché paraplegici e altri malati cronici rimangono ad aspettare, anche per diversi mesi, la visita specialistica.

Ridimensiona la gravità della situazione Giuseppe Termini, direttore del distretto sanitario 42. «In attesa di riuscire ad inserire il paziente nel protocollo di assistenza domiciliare previsto per i malati cronici - spiega -, viene attivato subito il servizio Adi (Assistenza domiciliare integrata), che però non può durare più di 2 mesi. Il paziente ha in questo modo la possibilità di un recupero, anche minimo. Se al termine di questo periodo il nostro medico accerta, tramite visita, la necessità di un trattamento cronico di riabilitazione tramite fisioterapia, i tempi effettivamente si allungano. Ma si parla di alcuni mesi. E anche su questo stiamo lavorando grazie all’implementazione di nuovi centri di fisioterapia». (*LUGU*)

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