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Bimbo in cella e ipocrisia: dal 2010 niente soluzioni

Un grido di allarme e di sdegno si è levato da più parti per il neonato di un mese «recluso» assieme alla madre al carcere Pagliarelli (oggi Antonio Lorusso). Ancora una volta l’ancora di salvezza viene gettata dal mondo del Terzo Settore, da Frate Loris, cappellano dello stesso carcere che propone di prendersi cura lui, presso la sua struttura, della mamma con il bambino. Forse però non tutti sanno o ricordano che, seguendo gli insegnamenti del Beato Giuseppe Puglisi, il Centro di Accoglienza Padre Nostro da Lui fondato già una soluzione l’aveva proposta.

Passi di Civiltà: percorsi alternativi per una ri-definizione della detenzione femminile a cura di Francesca Corso, Maria Pia Giuffrida, Augusta Roscioli, Maurizio Artale, era uno studio-ricerca del Centro, realizzato nel lontano 2010, edito nel 2011. Non solo parole. Le ultime pagine riportano «tracce per atti amministrativi»: in particolare si tratta di un protocollo di comodato d’uso gratuito da stipularsi tra il Centro e l’Amministrazione penitenziaria, per attivare a Palermo, in un immobile dell’associazione, una Icam (Istituto a custodia attenuata per detenuti madri con bambino).

Seguì un protocollo di intesa interistituzionale. Ma alla lettera inviata all’allora provveditore, che pure aveva fatto un sopralluogo, il Centro non ha mai avuto risposta. Troppi anni sono trascorsi e una falsa pietà oggi si ri-occupa, non si pre-occupa, di quel bambino detenuto. La vita dei bambini detenuti nel lontano 2010, come quella del piccolo detenuto di oggi ricordano la frase pronunciata da Tancredi nel Gattopardo: «Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi». Una modernità senza pari.

Già ora, come oltre 15 anni fa, come adesso e domani nessuno si ricorderà di questo bambino, né dei 30 del 2010… ma neanche di coloro che una «soluzione» l’avevano individuata e concretamente proposta. La domanda che oggi tutti noi ci dovremmo porre è la seguente: che fine hanno fatto quei 30 bambini reclusi nel 2010, con la sola colpa di essere figli di un amore fragile che aveva portato le loro mamme a scontare la pena in carcere? Questa domanda un giorno, a chi ha detto di aver creduto nel Dio dei cristiani e ai tanti che hanno citato il Beato Giuseppe Puglisi nei loro discorsi, verrà posta come quella che il Signore fece a Caino: “Dov’è Abele?”. Caino rispose: “Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?”. Noi sappiamo che siamo stati chiamati a essere «guardiani dei più deboli, indifesi e incolpevoli».

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