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L'indagine sulla Sanità. «Mica siamo tangentisti», Ninni asso pigliatutto

«Di numeri non ne vuole parlare, capito?», diceva Giovanni «Nuccio» all’amico e «sodale» (li chiamano così, i magistrati) Antonino Sciacchitano. Che rispondeva ridendo di una terza persona, l’imprenditore Alessandro Zanzi, già scottato dalla prima inchiesta, Sorella Sanità: «Si scanta?». E Cino: «Sì», pure lui ridendo. La controrisposta è la fotografia del principale indagato della nuova inchiesta della Guardia di Finanza: «Eh - diceva Ninni Sciacchitano - ma noi il nostro mestiere facciamo, non è che facciamo i tangentisti, è giusto?».

Almeno fino a ieri Ninni era stato il ponte fra una galassia imprenditoriale da sempre in affari con le amministrazioni pubbliche, ospedali in primis, e la politica. Un mago del «dialogo» capace di interfacciarsi senza timori reverenziali con presidenti della Regione, assessori e manager della sanità ma anche di districarsi fra le pieghe di codici e procedure al punto da orientare - almeno secondo l’accusa - i burocrati nei posti chiave a prendere la direzione da lui voluta. Sciacchitano nei palazzi della politica, è stato tutto questo.

A Palazzo d’Orleans era stato visto l’ultima volta giovedì, 24 ore prima del blitz che lo ha portato agli arresti domiciliari. Ne aveva titolo, per entrare nella sede della presidenza della Regione. Visto che da un anno il presidente Schifani lo aveva messo a capo dell’Oiv, l’Organismo indipendente di valutazione che assegna le pagelle, normalmente generose, ai dirigenti generali degli assessorati. Incarico subito revocato ieri. Di ruoli che lo portavano dentro i palazzi Sciacchitano ne rivestiva parecchi.

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