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Delitto Celesia a Palermo, il giovane killer senza rimorsi

I motivi della condanna a 12 anni di Matteo Orlando: «Prevaricatore e violento, non fu legittima difesa». I dialoghi-choc in carcere col compagno della madre

Non c’era nessun pericolo imminente e non era necessaria una reazione così violenta. La difesa di Matteo Orlando aveva invocato la legittima difesa ma il giudice Antonella Pardo l'ha esclusa sottolineando che la vittima non aveva in mano alcuna arma e che la traiettoria dei proiettili, la distanza di sparo e la direzione dei colpi, unitamente alla mancanza di evidenti segni di lotta, portano a delineare una condotta consapevole. «L'imputato deve considerarsi responsabile di omicidio volontario», questa la conclusione del giudice Antonella Pardo nelle motivazioni della sentenza che ha condannato l'imputato a dodici anni di carcere per l'omicidio di Rosolino Lino Celesia, l’ex calciatore di appena 22 anni, ucciso la notte del 21 dicembre 2023 nella discoteca Notr3 di via Pasquale Calvi. La procura aveva chiesto 18 anni rispetto alla pena base di 24 anni, ridotta automaticamente di un terzo per il regime minorile più favorevole, a cui si è aggiunto anche lo sconto previsto dal rito abbreviato.

Matteo, che era assistito inizialmente da un altro legale, nel corso del processo ha scelto di affidarsi all'avvocato Lorenzo Falletta. Tutto era partito una settimana prima con una lite alla Vucciria: «Tutto è cominciato per una sciocchezza perché Celesia mi guardava male - aveva raccontato -. Cose stupide, futili. In Vucciria eravamo solo io e mio fratello. Ho litigato con Celesia perché mi aveva guardato male. Io gli ho chiesto spiegazioni, ma Celesia mi aizzava».

Da quella sera la tensione non si era più abbassata: «Hanno colpito sia me che mio fratello, con le mani ma anche con una bottiglia. Dopo la lite ce ne siamo andati, ma altri ragazzi ci hanno detto che Celesia ed i suoi amici non se la sarebbero tenuta e ci avrebbero dato la caccia per vendicarsi». È in quel momento che il ragazzo avrebbe deciso di armarsi: «Ho comprato la pistola dopo la lite alla stazione da uno zingaro che non conoscevo prima. Ho detto a questa persona che avevo bisogno di un'arma perché mi volevano far male». Per il Gup, il diciassettenne oggi maggiorenne, ha fatto fuoco senza che vi fosse alcuna minaccia concreta colpendo l'ex promessa del calcio con due proiettili al petto e al collo da distanza ravvicinata.

Le telecamere e l'audio ambientale hanno registrato la sequenza del delitto. Poco dopo le 2.30, tra l'area fumatori e una zona più appartata della discoteca, si scatenò una rissa. Gabriele fu colpito e cadde a terra privo di sensi. In quel momento, Matteo estrasse l'arma dalla cintura e fece fuoco. Il video mostra la sua fuga mentre un audio registra le ultime parole di un testimone: «Matteo, Matteo, no, no, no», seguite da due spari e dal grido disperato: «Lino, Lino murìu».

Orlando ha cambiato più volte versione: prima ha sostenuto di aver sparato per timore di essere aggredito, poi ha parlato della volontà di salvare il fratello Gabriele. Per quest’ultimo, giudicato a parte, la pena è stata ridotta in appello a 3 anni, 9 mesi e 10 giorni confermando la responsabilità per la detenzione illegale dell’arma. Quella notte in discoteca c’erano due armi, una vera con due colpi in canna (quella che ha freddato Celesia) e una a salve ma non ci sarebbe nessun dubbio che «a provocare la morte di Celesia sia stato Matteo Orlando e che l'abbia fatto utilizzando una pistola che era nella sua disponibilità», si legge nelle motivazioni. «Il gravissimo gesto posto in essere dall'imputato appare del resto complessivamente compatibile con la sua personalità», ha sottolineato il giudice spiegando che nonostante la sua giovane età «risulta già gravato da carichi pendenti per reati a matrice violenta» e i tentativi di recupero effettuati dai servizi sociali «non hanno sortito alcun effetto».

Non solo: la sua crescita sarebbe stata segnata «dalla separazione conflittuale dei genitori e dai loro ingressi nel circuito penale», un ambiente familiare in cui «le stesse figure genitoriali hanno per lui rappresentato modelli di riferimento negativi» tanto che il tribunale ha ritenuto che abbia strutturato un modello di vita nel quale «il passaggio all'azione aggressiva rappresenta un ineluttabile mezzo per rispondere a momenti di stress emotivo». Anche le intercettazioni in carcere hanno confermato che Orlando ha interiorizzato un sistema di valori in cui «la violenza e la sopraffazione rappresentano modi privilegiati per relazionarsi con il prossimo con cui egli entra in conflitto e per affermare la sua personalità». Proprio per questo la sua decisione di armarsi e di sparare non può essere considerata frutto di un impulso momentaneo, ma piuttosto la conseguenza di un atteggiamento consolidato: «Matteo, ad appena 17 anni, ha scelto di dotarsi di un'arma - è un altro passaggio delle motivazioni - di portarla in un luogo pubblico, e di usarla contro una persona in quel momento disarmata».

L’ultimo esempio durante un colloquio in carcere quando parlando con il compagno della madre, il più piccolo dei due fratelli, avrebbe mostrato una totale assenza di rimorso e indifferenza rispetto alle conseguenze del suo gesto. «Lo sai perché tu non hai rimorsi? Perché il tuo obiettivo era quello di entrare al Malaspina o in galera con un reato degno!», gli diceva il patrigno mentre lui rispondeva con un sorriso. E parlando dello scontro con Celesia e i suoi amici, aggiungeva: «Hanno voluto fare i cretini con me. Gli ho tirato la sedia, gli ho rotto tutto in faccia».

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