Il vento impetuoso delle indagini spazza via le velleità dei mafiosi di riorganizzarsi e il tentativo di ricostituzione della Cupola di Cosa nostra, portato avanti anche con il ricorso a strumenti tecnologici e chat criptate per riuscire a comunicare pure dai penitenziari, è destinato a restare un sogno per i criminali palermitani, messi alle corde dalla stringente pressione di magistratura e forze dell'ordine.
Ieri mattina, martedì 11 febbraio, i pm della Dda e i carabinieri hanno messo a segno un'operazione che, con la forza di un terremoto giudiziario, ha fatto scattare 181 arresti e fermi tra la città e la provincia per una lunga teoria di reati: dal 416 bis al traffico di droga, dalle estorsioni al gioco d'azzardo, dalle armi al favoreggiamento alle facili comunicazioni dalle carceri sino alle lesioni e ai pestaggi. Vecchi e nuovi nomi sono finiti sott’inchiesta in un’ampia fetta del territorio: da Bagheria a Santa Maria di Gesù passando per Pagliarelli, Porta Nuova, Cruillas, Tommaso Natale e San Lorenzo sino a Carini, Terrasini e Partinico.
Tra loro ci sono personaggi da poco scarcerati e subito tornati in affari, come Tommaso Lo Presti e Nunzio Serio, Gioacchino Mineo e Giuseppe Scaduto, Francolino Spadaro e Guglielmo Rubino. Ma la qualità dei personaggi in campo è sempre più scarsa e l'auspicio di potere contare su uomini con il carattere dei vecchi tempi è una mera illusione. Anche la classe dirigente di Cosa nostra è scaduta.
Gli inquirenti, coordinati dal procuratore Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Marzia Sabella, hanno fatto scattare il blitz sulla base di diversi provvedimenti restrittivi tra ordinanze di custodia cautelare e fermi che hanno richiesto anche il pronunciamento di cinque diversi gip. I diversi capitoli degli affari nei mandamenti offrono la spaccato di una mafia ancora attiva che sfrutta le nuove tecnologie per violare anche le rigide norme carcerarie e comunicare con l’esterno. Come telefonini speciali, con un vorticoso ricambio di sim, o chat criptate. Sul fronte del traffico di stupefacenti spesso la mafia fa cartello con la ‘ndrangheta e non ha mai smesso di controllare il territorio con le estorsioni. Ma su cinquanta casi ricostruiti dai carabinieri nell’arco di due anni di indagini, solo pochi esercenti hanno trovato la forza di denunciare. Nel corso del blitz, al quale hanno preso parte 1.200 uomini dell’Arma, sono stati recuperati 100 mila euro in contanti, una pistola calibro 7,65, 400 grammi di cocaina, strumenti informatici e documenti che saranno utili per il prosieguo degli accertamenti. A cominciare dagli aiuti ricevuti da diversi indagati, a conoscenza grazie a preziose soffiate degli imminenti blitz. Tra questi un avvocato legato a un uomo di Partanna Mondello, che avrebbe dato informazioni anche sulla presenza di una microspia piazzata su un’auto.
I vasti fronti di indagine hanno fatto emergere una «crescente vitalità di Cosa nostra e hanno rivelato un’associazione dotata di una nuova energia che, molto verosimilmente, affonda le sue radici nell’equilibrata combinazione tra gli elementi di modernità, provenienti dalla più avanzate tecnologie, e quelli del passato, rappresentati dalla roccaforte dello «statuto scritto, che hanno scritto i padri costituenti» - evocato nella ormai nota riunione di Butera del 5 settembre 2022 dagli uomini d’onore della famiglia di Rocca Mezzomonreale - che tuttora rappresenta l’humus organizzativo dell’associazione e, soprattutto, l’elemento aggregante - spiegano i magistrati -. Quanto ai fattori di ammodernamento, non può ignorarsi che la facile introduzione, negli istituti penitenziari, di minuscoli apparecchi telefonici e di migliaia di sim, destinate ciascuna a una breve durata per annientare le eventuali attività di intercettazione, ha neutralizzato l’annosa questione dell’inoperatività dei detenuti che, ormai, dalle loro celle, continuano ininterrottamente la militanza mafiosa, seppure in videochiamata, collegandosi a un telefono-citofono (cioè un apparecchio esterno dedicato in via esclusiva a ricevere e chiamare l’utenza attiva dentro al carcere), sì da interloquire sulle questioni di maggiore rilievo e da realizzare, con estrema facilità, vere e proprie riunioni di mafia».
In più circostanze si è avuto modo di intercettare diversi detenuti (tra i quali Francesco Pedalino, Nunzio Serio, Calogero Lo Presti, Calogero Piero Lo Presti) mentre erano impegnati in conversazioni con altri affiliati liberi, peraltro realizzate con l’ausilio di sistemi organizzativi che vedevano schiere di familiari del recluso affaccendate a convocare-ricevere gli interlocutori o a recapitare loro il telecitofono. E nelle pagine dell’indagine è finita la spedizione punitiva contro Giuseppe Santoro, ordinata telefonicamente dai due Lo Presti detenuti, i quali, nel corso di una lunga serie di chiamate, oltre a scegliere minuziosamente la squadra deputata al pestaggio punitivo e a indicare le precise modalità per la realizzazione del loro comando, hanno anche ritenuto di assistere in diretta, grazie al video-collegamento telefonico, al massacro della vittima.
Ancora, l’ormai noto sistema dei criptofonini ha reso possibile il dialogo, costante e riservato, non solo con i trafficanti di droga, a beneficio degli affari, ma anche tra i vari mandamenti, a beneficio, stavolta, della stessa essenza organizzativa dell’associazione.
Secondo l’accusa, «l’esemplificazione delle interlocuzioni ha reso possibile, nel tempo, un maggiore coordinamento tra diversi mandamenti - del resto cementato, oltre che dall’appartenenza ai medesimi valori subculturali, dalla crescente comunanza degli interessi economici - i quali, pur non essendo ancora riusciti a ripristinare la struttura centrale di vertice, comunque riescono a relazionarsi e a perseguire strategie organiche e comuni, così avvantaggiando gli affari».
Oggi sul Giornale di Sicilia in edicola e nell'edicola digitale dieci pagine dedicate al maxi blitz con la mappa dei mandamenti, le foto e gli approfondimenti.
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