
Il 7 febbraio dell’anno scorso, alle 20.22 e subito dopo alle 20.24, Massimo Carandente ha inviato due messaggi quasi identici a due persone diverse attraverso i quali è stato possibile risalire alla data e all'ora della morte di Antonella Salamone e del piccolo Emmanuel. Le comunicazioni, estrapolate dai telefonini, rappresentano un tassello chiave nella ricostruzione degli eventi che hanno portato alla strage di Altavilla Milicia.
«Satana, Jezebel, lo spirito della morte, incredulità e oltre 4 mila demoni (una legione) si sono portati prima la moglie e poi il bambino (qualche ora fa) per la non fede della famiglia, in particolare modo del figlio di 16 anni che non crede. Ma il Signore Cristo Gesù è pronto a fare il miracolo e a resuscitare il bambino di 5 anni di nome Emmanuel, ma devi credere, per favore prega e fai girare il messaggio», scriveva Carandente a uno dei membri della comunità religiosa con i quali si confrontava, svelando indirettamente il giorno in cui si era compiuto il massacro.
L’amico aveva subito risposto: «Io prego per questa madre e questo figlio, ma soprattutto per il figlio di cinque anni, Emmanuel. Signore, tu hai il potere della vita e il potere sulla morte. Ti prego affinché tu possa fare un grande miracolo». Una discussione surreale anche se la Procura di Termini Imerese ha escluso la presenza di un suggeritore misterioso o di un santone dietro alle esecuzioni di Antonella, Emmanuel e di Kevin, il fratello di 16 anni.
Ed era lo stesso Carandente a descrivere la situazione in un altro vocale: «La moglie e il figlio sono pieni. Stiamo cercando di aiutarli, però... non sappiamo più... Abbiamo chiesto aiuto a fratelli e pastori ma ognuno ha la sua scusa», diceva esprimendo la sua frustrazione per la mancanza di sostegno. «Addirittura - aggiungeva - un fratello pastore che è sudamericano, del Brasile, per parlare con lui, dopo che comunque gli abbiamo spiegato la situazione, ci ha dato appuntamento per domani. Per farti capire il mondo cristiano dov'è! Centoventi sull'alto solaio si riunivano per chiedere quello di cui avevano bisogno. E noi? Non lo so, abbiamo chiesto consiglio al Signore».
Secondo gli inquirenti, tutte le decisioni sarebbero state prese da Barreca - marito e padre delle vittime - assieme a Sabrina Fina e all’ex compagno Carandente in un contesto di fanatismo religioso e isolamento.
Tutti e tre sono stati rinviati a giudizio e dovranno rispondere di triplice omicidio e occultamento di cadavere. Il giudice ha anche stabilito che Barreca lasci la residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza di Caltagirone, in cui è tenuto in custodia e dove sta seguendo un percorso di cure riservato alle persone affette da disturbi mentali, per essere portato di nuovo in carcere, ma il trasferimento non è ancora avvenuto. Il processo comincerà il 6 marzo nell'aula bunker del carcere Pagliarelli. La figlia di Barreca - diciassettenne all’epoca dei fatti e ora maggiorenne, attualmente detenuta in un istituto minorile romano - anch’essa coinvolta nelle violenze, sarà invece giudicata separatamente.
Il Gup Nicola Aiello, del tribunale per i minorenni, valuterà domani la capacità della giovane al momento della carneficina e di stare adesso in giudizio. Per l'accusa, gli imputati avrebbero pianificato un rito di liberazione nella villetta per scacciare presunti spiriti maligni, una sorta di esorcismo che si è trasformato in un massacro. Antonella fu percossa con pentole e attrezzi incandescenti, legata, privata di cibo e acqua, e morì per le torture subite. Il suo corpo fu poi bruciato nel giardino della casa. «Il marito mi ha chiamato piangendo - sono ancora le parole di Massimo - chiedendomi aiuto perché sua moglie si è trasformata e se ne sta andando. Ha gli occhi tutti neri, s’è gonfiata tutta e sta diventando enorme».
Emmanuel fu bloccato a letto con catene, costretto a ingerire caffè con una siringa per indurlo al vomito e morì per insufficienza respiratoria causata dall’asciugacapelli rovente introdotto in bocca. «Pensa - raccontava Carandente a un’altra fedele - che il bambino è pieno, in 5 non lo siamo riusciti a trattenere, una forza peggio di un gigante». Kevin, infine, si era ribellato («non crede», spiegava il cosiddetto fratello di Dio ai suoi interlocutori) e proprio per questo sarebbe stato incaprettato con cavi e catene e soffocato fino alla morte.

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