L’inchiesta sul clan mafioso di Resuttana a Palermo: Quartararo lascia il carcere e va ai domiciliari
Arresti domiciliari per Giovanni Quartararo, l'imprenditore condannato a otto anni e otto mesi per concorso esterno in associazione mafiosa ed estorsione. Il giudice Marco Gaeta ha accolto l'istanza dell'avvocato difensore Jimmy D'Azzò, ritenendo che il periodo di detenzione già scontato, la parziale ammissione delle accuse e il ridimensionamento del suo ruolo all'interno della vicenda giustifichino un'attenuazione della misura cautelare «rispetto ad un legame con Cosa Nostra non strutturale ma ab externo». Per la Procura Quartararo, titolare di una catena di negozi di calzature, avrebbe messo la propria attività a disposizione del clan mafioso di Resuttana, fungendo da tramite riservato per la comunicazione tra i boss. L'operazione Resurrezione, in cui è stato coinvolto, aveva portato a una serie di condanne pesanti: in totale 150 anni di carcere a quattordici imputati. Tra le pene più severe, vent'anni ciascuno a Sergio Giannusa, considerato il cassiere del mandamento e responsabile della gestione del denaro proveniente dal racket, e a Mario Napoli, incaricato della riscossione delle estorsioni. Salvatore Genova, considerato il principale referente dell'organizzazione, aveva ricevuto una pena di 18 anni, nonostante lo sconto di un terzo previsto dal rito abbreviato; a Carlo Giannusa erano toccati 14 anni; 12 a Salvatore Castiglione; 9 anni e 4 mesi a Michelangelo Messina mentre all'ex commercialista Giuseppe Mesia erano stati inflitti 9 anni. Secondo l'accusa Quartararo sarebbe stato il mandante di un violento pestaggio ai danni di un ambulante con la complicità di Carlo Giannusa come esecutore materiale. All’uomo, oltre a essere stato picchiato, avevano rubato l’auto e un furgone, utilizzati come «pegno», per recuperare 6 mila e 800 euro che Quartararo pretendeva come pagamento di una fornitura di scarpe, imponendo al suocero della vittima l'estinzione integrale del debito entro 18 giorni. In una telefonata intercettata, il negoziante si era lamentato di un certo Giuseppe che era solito lavorare nei mercatini rionali, tra cui quello di viale Campania, il quale non aveva ancora saldato la fornitura («si è fottuto diecimila euro di scarpe», raccontava al suo interlocutore). Poi era andato tra le bancarelle a cercarlo ma lo non aveva trovato anche perché non rispondeva nemmeno alle sue telefonate. «Da venerdì che mi prende per fesso», diceva Quartararo, quindi era intervenuto Giannusa che, alla fine, aveva trovato «Giuseppe u’ Gigolò» (è il soprannome dell’ambulante) e gli aveva fatto dare una lezione: «Gli hanno levato il furgone, gli hanno levato tutte cose, gli hanno levato pure la macchina, gli hanno rotto le corna a colpi di casco…».