Seppur di fatto immune da inchieste e procedimenti giudiziari, Toni Lo Manto, per via dei suoi legami familiari con esponenti di primo piano di Cosa nostra e del suo sistema di relazioni, viene definito un personaggio di primo piano nel panorama della mafia imprenditrice.
Nelle pagine dell’indagine sfociata nell’operazione Moby Dick, oltre al rapporto privilegiato con il boss Lorenzo Tinnirello, gli inquirenti citano i legami di Lo Manto con i fratelli Antonio e Sandro Capizzi, figli del boss di Villagrazia Benedetto
Secondo l’accusa, «non vi è dubbio che a un certo punto abbia operato una trasformazione della propria appartenenza mafiosa in una attività connotata da caratteri maggiormente imprenditoriali, anche grazie al mutato aspetto della organizzazione che, alle tradizionali attività criminali, ha avuto la capacità di riciclarsi quale business partner, capace di assicurare benessere economico e, quindi, decidere in autonomia di trasformare la propria appartenenza mafiosa da operativa in imprenditoriale».
Il suo percorso emerge dalle intercettazioni. È lo stesso Lo Manto a riferire di avere sfruttato la propria militanza nella mafia per intraprendere attività imprenditoriali, riconvertendosi in un business più sicuro e decidendo di abbandonare la criminalità da strada. Spiegando anche che un tempo, quando governava Salvatore Riina, era quasi impossibile dire di no. E che la strategia della sommersione di Cosa nostra portata avanti da Provenzano aveva consentito di cambiare atteggiamento: «Tanti anni fa... - diceva - tu delle scelte non le potevi fare... e tu eri in certi contesti ed eri obbligato a farlo. Le scelte oggi le puoi fare. Io sono in mezzo alla strada dalla mattina alla sera, ho iniziato pure io con i problemi. Un giorno mi sono detto, anche per una questione di superstizione, “Io non posso, sono stato fortunato fino ad ora, non posso più sfidare la mia fortuna. Allora la mia mafia la trasformo in imprenditoriale”».
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