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Giustizia, a Palermo le sentenze d'appello sono in ritardo di oltre un anno

Il mancato deposito tiene a debita distanza la conclusione del processo

Le sentenze non depositate in Corte d’appello sono tante e tutte pesanti: a distanza di tanto tempo da quando furono pronunciate, non ci sono ancora le motivazioni di decisioni come quella sulle Spese pazze dell’Assemblea regionale (4 maggio dell’anno scorso), Sorella Sanità (1 dicembre, sempre dello scorso anno) e anche quella sull’assessore comunale di Palermo Totò Orlando, risalente al 22 novembre scorso, esattamente 10 mesi e due settimane fa.

La questione giudiziaria - grande così - viene fuori proprio a proposito di Orlando, l’uomo al centro della polemica politica di questi giorni, sull’asse Palazzo d’Orleans-Montecitorio-Palazzo Comitini. Lui, che è di Iv, è stato indicato - per la querelle Faraone-Schifani - da tre quarti del centrodestra come l’uomo da escludere dalla giunta di Roberto Lagalla, ma è anche lui - come usa dire in giuridichese - a essere gravato da una «doppia conforme», cioè una condanna a un anno e sei mesi, uguale sia in primo sia in secondo grado, per tentata concussione.

L’eventuale passaggio in giudicato della sentenza di appello potrebbe chiudere la partita: questo anche se la legge Severino, con la decadenza di diritto dall’incarico pubblico, potrebbe non essere applicabile, nel caso specifico; ma la posizione di un assessore condannato per avere provato (questa l’accusa) a «convincere» un esaminatore a favorire un esaminato, in una pubblica selezione, sarebbe a dir poco insostenibile.

In ogni caso l’eventuale questione è molto di là da venire: a quasi un anno da quando fu pronunciato il dispositivo, la motivazione della sentenza di secondo grado non è stata infatti ancora depositata. Cosa che impedisce, di fare ricorso in Cassazione e tiene a debita distanza la conclusione del processo. La prescrizione non è vicinissima ma nemmeno troppo lontana (ci vorrà un altro anno, all’incirca) e dunque il caso rimane in un limbo giudiziario.

I termini per depositare le sentenze sono al massimo di sei mesi (90 giorni più 90) e solo per i casi particolarmente complessi. Ci sono state vicende giudiziarie culminate in scarcerazioni o dichiarazioni di prescrizione, a causa dei ritardi dei giudici, e per questo le norme (anche dal punto di vista disciplinare) sono oggi molto più stringenti per i magistrati.

Però non è, come detto, l’unico caso che riguarda la prima sezione della Corte d’appello, penalizzata da una serie di avvicendamenti di magistrati, che hanno stravolto la composizione del collegio, creando un arretrato notevole. Spese pazze, un processo che ha tenuto banco sin dal 2014, vede sotto esame - fra gli altri - la posizione di Salvo Pogliese, ex sindaco di Catania e oggi senatore di FdI: più passa il tempo e più i reati si prescrivono e soprattutto (per lui sarebbe applicabile senza dubbi) si allontana lo spettro della Severino. Mentre per Sorella Sanità i tempi della prescrizione sono ancora lunghi, ma per gli imputati (per quelli che dovessero essere condannati) quanto meno le porte del carcere sono più distanti.

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