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La strage di Altavilla, no alla messa alla prova per la minorenne: del caso non si occuperà la Corte Costituzionale

Il Gup dei tribunale dei minori di Palermo giudica «irrilevante nel presente procedimento» la questione di presunta illegittimità del decreto Caivano, che ha inasprito le sanzioni per i ragazzi

La messa alla prova non è adeguata per i casi di omicidio, in particolare quando si tratta di un delitto grave come quello contestato alla figlia di diciassette anni di Giovanni Barreca, accusata di aver partecipato alla strage di Altavilla Milicia, insieme al padre e ai cosiddetti «fratelli di Dio», Sabrina Fina e Massimo Carandente. Lo ha messo nero su bianco il Gup del Tribunale dei minorenni nella sua ordinanza, con la quale ha respinto perché «manifestamente infondata e irrilevante nel processo» l’eccezione di illegittimità costituzionale sollevata dall'avvocato Carmelo Salamone, che assiste la giovane coinvolta negli omicidi della mamma Antonella Salamone e dei fratelli Kevin e Emmanuel, di 16 e 5 anni, avvenuti all’interno della villetta di famiglia.

Il decreto Caivano, che ha inasprito le pene e i trattamenti sanzionatori per i minorenni, non consente più la messa alla prova (che significa evitare la cella) per l’omicidio dell’ascendente (padre, madre, nonni). L’imputata compirà la maggiore età il 7 ottobre, ma il difensore non aveva chiesto l’applicazione del meccanismo alternativo al carcere per la sua assistita e da qui la dichiarazione di «irrilevanza nel presente procedimento». Non ci sarebbe stato nemmeno l’altro elemento, cioè «la non manifesta infondatezza», che dev'essere presente affinché, interrotto il processo, vengano inviati gli atti alla Consulta. Secondo il giudice, i tempi previsti per la messa alla prova (che può durare massimo tre anni) sono troppo brevi per un percorso di rieducazione significativo, specialmente per reati così gravi.

«L'esclusione dell’omicidio dell’ascendente dal novero dei reati definibili con messa alla prova - ha scritto Aiello - risponde alla necessità di un percorso di elaborazione del vissuto delittuoso che richiede tempi ben più lunghi di quelli previsti per altri delitti altrettanto gravi. Identiche considerazioni, va detto incidentalmente, possono porsi per i delitti di violenza sessuale e di violenza sessuale di gruppo, anche essi esclusi dalla possibilità di messa alla prova».

Il fatto poi che «il difensore dell’odierna imputata non abbia richiesto la messa alla prova della stessa» appare significativo per «confermare la piena consapevolezza dell’inadeguatezza di tale istituto rispetto ai tempi di un percorso rieducativo che ha una durata massima di tre anni e come tale appare incompatibile con la rivisitazione critica del vissuto delittuoso». Così come «non appare ravvisabile alcuna pretermissione delle esigenze di protezione dell’infanzia e della gioventù», altra norma costituzionale che sarebbe stata violata col decreto Caivano.

«Tali esigenze trovano adeguata tutela anche nell’ipotesi di detenzione all’interno di istituti penali minorili e devono in ogni caso essere poste in valutazione comparativa con altro bene giuridico anche esso costituzionalmente tutelato: il diritto alla vita». Anche sulla presunta violazione dell’articolo 27 della Costituzione, il Gup ha puntualizzato che «laddove dovesse essere comminata» la condanna, questa « sarebbe scontata all’interno di un istituto penale minorile che, come tale, è funzionalmente e strutturalmente predisposto per garantire al minorenne la certezza di un percorso rieducativo così come previsto dal dettato costituzionale». Del resto «è stato lo stesso difensore - continua il giudice - nella sua memoria a evidenziare come l’imputata abbia già preso parte a diverse iniziative finalizzate alla sua rieducazione. La possibilità di proseguire il suo percorso scolastico è garantita».

Nella foto la famiglia Giovanni Barreca con la moglie e i due figli grandi (i loro volti sono oscurati)

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