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La scheda: storia di Lia Pipitone, uccisa a Palermo perché non voleva vivere secondo le regole mafiose, e del figlio Alessio

Uccisa perché voleva essere libera, svincolata dai lacci della famiglia mafiosa. Rosalia Pipitone, chiamata Lia, era figlia del boss dell'Acquasanta Antonino, detto Nino. Venne strappata alla vita a 25 anni nel corso di una rapina apparsa subito strana. Era il 23 settembre 1983.

Lia nasce il 16 agosto del 1958. È una bambina, ricorda Libera sul proprio sito Vivi Libera, dalla carnagione chiara, i capelli biondi e i grandi occhi marroni, vispi e aperti al mondo. All’età di 10 anni rimane orfana di madre e da allora crescerà con il padre e la zia. I primi contrasti in famiglia sorgono al momento della scelta di continuare a studiare dopo le medie. Lia vuole frequentare il liceo artistico, ama disegnare. Suo padre è contrario, ma la ragazza ce la fa. Qualche anno più tardi, però, Lia, che non riesce a vivere la sua giovinezza come vorrebbe, con quel padre che la vuole tenere chiusa in casa, fa la classica fuitina con il fidanzato, Gero, un ragazzo conosciuto a scuola. I due ragazzi riescono a sposarsi, nonostante Gero venga minacciato. Da quell’amore giovane e ribelle nasce un bambino, Alessio. Lia accetta di tornare a Palermo, ma la convivenza con il padre Antonino non è facile. La relazione con Gero si interrompe e per la famiglia di Lia Pipitone è un affronto.

La ragazza vive sotto controllo, vigilata quando le viene concesso di uscire. L'equilibrio si rompe definitivamente quando la ragazza viene sospettata di frequentare un lontano cugino, Simone. È il suo migliore amico, ma il quartiere  mormora che i due abbiano una relazione, extraconiugale, sebbene Lia e Gero non stiano più insieme. Il 23 settembre 1983, quando Lia ha compiuto 25 anni da un mese, e il figlio Alessio ne ha soltanto 4, arriva l'esecuzione della condanna a morte. Lia, ricostruisce ancora Libera, entra in una sanitaria del vicino quartiere dell'Arenella, in via Papa Sergio. All'improvviso entrano due uomini che sembrano volere rapinare il negozio, ma anziché pensare alla cassa, sparano alla giovane cliente.

Lia muore sul colpo. Il giorno dopo anche Simone viene ritrovato morto sotto il balcone di casa sua. Agli occhi degli inquirenti sembra un suicidio ma, secondo quanto riferito dal collaboratore di giustizia Angelo Fontana, anche in questo caso è stata la mafia: due killer di Cosa Nostra organizzarono una messinscena, simularono un suicidio, scaraventando Simone dal quarto piano del palazzo in cui abitava, in piazza Generale Cascino, dopo averlo obbligato a scrivere un messaggio: «Mi uccido per amore».

Resta senza la mamma quel bambino di quattro anni, Alessio Cordaro. Dopo tanti anni i pentiti di mafia sveleranno che sua mamma è stata uccisa con il placet del padre, il nonno di Alessio, indicato negli atti giudiziari come un capomafia fedele ai Corleonesi Totò Riina e Bernardo Provenzano. Da quell'accusa nonno Nino Pipitone è stato assolto, ma nel 2013 Alessio, ormai cresciuto, affronta senza paura la vicenda della sua mamma nel libro Se muoio, sopravvivimi, scritto con Salvo Palazzolo. Del nonno, racconta Alessio, «ho un'immagine, non so dire se reale o se l'ho costruita nel tempo, ma è un'immagine che mi porto dentro da sempre. Mentre siamo in casa, a sperare che mamma possa farcela, arriva dall'ospedale la notizia che lei ci ha lasciato. Ecco, io ho impressa nella mente la faccia di Antonino Pipitone in quel momento: vedo una strana tranquillità in lui, come se quel finale non fosse inaspettato».

Oggi, 23 settembre 2024, 41 anni dopo quella «strana» rapina, Alessio è sul luogo del delitto, assieme a Libera Palermo, a chiedere con forza che la città ricordi in modo tangibile l'assassinio di una giovane donna che non voleva sottostare alle distorte regole mafiose.

Nella foto Lia Pipitone con il piccolo Alessio

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