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L'inchiesta sulle gelaterie a Palermo, il boss Micalizzi sbottò: «Chi autorizza quei bar?»

Il capo, assente per tanto tempo, non accettava ciò che aveva trovato a Mondello. Il marchio Brioscià diventò Sharbat per motivi familiar. Per un'autorizzazione venne contattato un dipendente comunale

Il furgoncino ambulante con il marchio Sharbat

«Non si possono fare due pesi e due misure, se si vuole fare un ragionamento lineare, loro mi spiegano perché ci sono quattro bar, voglio sapere da loro qual è stato il primo che ha aperto? Il secondo perché ha aperto, il terzo perché ha aperto?». Michele Micalizzi non aveva più chiara la geografia delle attività economiche sul suo territorio. Era stato lontano oltre trent’anni dal suo feudo di Partanna Mondello: prima in fuga per salvarsi la vita dai Corleonesi, poi per scontare vent’anni di carcere con l’accusa di omicidio, infine per la sua residenza di pochi anni a Firenze. E così non riusciva a capire come avessero potuto aprire più bar e gelaterie nel giro di poche decine di metri e senza il suo consenso sul lungomare di Mondello, contro ogni regola di lottizzazione mafiosa del territorio.

Mondello, proprio lì dove «lo zio Michele», con Mario Mancuso di Brioscià - che nell’interrogatorio di garanzia ha sostenuto che non ci fosse alcun legame con il capomafia nelle gelaterie -, avrebbe pianificato nuovi investimenti. Micalizzi e l’imprenditore avrebbero fondato la Mm4480, una srls (società a responsabilità limitata semplice), con la quale dare il via a nuovi investimenti, sempre nel settore del gelato. Intestata al cugino di Mancuso, Giovanni Maggio, scelto «perché pulito», come avrebbe riferito l’imprenditore a un suo consulente, con la nuova società la coppia di soci avrebbe voluto aprire due nuove gelaterie : la prima individuata nei locali al pianterreno, «dove c'è la Sirenetta», spiegava Mancuso al consulente finanziario, «circa 60 metri quadri a 1.500 euro... della società Italo Belga. E l'altro dove ci sono le giostre a Mondello, c'è un piccolo triangolo di terra, che è libero e me lo affittano a 500 euro».

Da lì a poco le gelaterie avrebbero cambiato nome: da Brioscià (collegata alla Magi srl, dichiarata fallita nel 2021) a Sharbat. Nuovi investimenti e loghi che si incastonano nel periodo in cui l’imprenditore si sta separando dalla moglie Mariangela Gottuso, titolare proprio della Magi srl. Mancuso temeva che la moglie e il fratello di lei, Giovanni, potessero voler tenere per loro il ramo delle gelaterie a marchio Brioscià: «E io ci ho sputato sangue», lamentava l’imprenditore.

Brioscià nel frattempo si sarebbe dovuta evolvere in un franchising. E Mancuso avrebbe chiesto ancora una volta l’intervento di Micalizzi, riluttante però a mostrarsi come persona interessata. Un intervento chiesto anche per alzare le saracinesche con il consenso mafioso. Concetto che Micalizzi non comprendeva fino in fondo: «Dieci persone almeno ti vengono a chiamare per questo locale», spiegava l’imprenditore. «A me? E per dire cosa?», rispondeva sorpreso il boss. «Che Mario non apre», gli spiegava il figlio Giuseppe. «E io gli dico che mi devono una spiegazione, perché, che cosa non dovrebbe aprire?».

Mancuso e Giuseppe Micalizzi provavano a spiegare al genero del defunto don Saro Riccobono che nella stessa zona c’erano tante attività, tutte uguali. «Papà, non devi guardare il discorso bar e gelateria - spiegava Micalizzi figlio a Micalizzi padre - tu non ci sei stato qua!». «Non si possono fare due misure - sbotta il boss - se si vuole fare un ragionamento lineare, loro (altre articolazioni mafiose della zona, ndr) mi spiegano perché ci sono quattro bar, voglio sapere da loro qual è stato il primo che ha aperto? Il secondo perché ha aperto, il terzo perché ha aperto?».

Tra i bar a cui si riferiva Micalizzi c’erano anche gli storici Scimone e Latte Pa. Sul titolare di questa ultima attività, Nino Cardinale, definito con un insulto da Giuseppe Micalizzi, si abbattevano le ire di Mario Mancuso. Sempre per la paura che l’ex moglie e il cognato potessero mettersi in mezzo: «Ora questo chiama a Edy che sono stretti... Edy chiama subito a mio cognato e mio cognato mi dice che stai facendo?». Riferimento che sarebbe a Edy Tamajo (del tutto estraneo all’indagine), attuale assessore regionale alle Attività produttive, nel 2021 semplice deputato all’Ars.

Insomma, Mancuso e Micalizzi studiavano come ottenere le autorizzazioni necessarie per l’apertura della nuova gelateria nella zona delle giostre all’ingresso della borgata, «un chiosco gelateria su ruote». Dalla sovrintendenza sarebbe arrivato un «sicuro no» e quindi bisognava agire attraverso il Suap: Micalizzi aveva contattato e incontrato insieme all’imprenditore un architetto e dipendente comunale, Domenico Spina, che, secondo gli inquirenti e la guardia di finanza, era stato incaricato da Micalizzi tempo addietro di interessarsi ad alcune variazioni catastali. «Ho capito di che si tratta - dice - domani si insedia la nuova giunta e la prossima settimana assegnano i dirigenti... probabilmente al Suap ci va una amica mia, Maria Mandalà».

 

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