Palermo

Domenica 24 Novembre 2024

Il fallimento di Brioscià a Palermo, le mani della mafia sull'affare: ecco chi sono gli altri dieci indagati

Gli affari della mafia passavano anche attraverso le gelaterie. Vere e proprie miniere d’oro che incassavano soldoni contanti tutto l’anno. In particolare Cosa nostra aveva messo le mani su Brioscià, la catena molto nota in città che era fallita improvvisamente nel 2021. Un marchio conosciuto, ufficialmente gestito da Mario Mancuso, 44 anni, un imprenditore esperto del settore dietro al quale - in base alle indagini condotte dagli uomini del Nucleo di polizia economico-finananziaria della guardia di finanza, guidati dal colonnello Carlo Pappalardo, con il coordinamento del procuratore Maurizio de Lucia - ci sarebbe stata invece la regia di Michele Micalizzi, 75 anni, storico capo della famiglia mafiosa di Partanna Mondello ed esponente di spicco del mandamento di San Lorenzo, nonché genero di Saro Riccobono, che fu tra i più influenti boss palermitani, di cui aveva sposato la figlia, Margherita. Per Micalizzi, tornato in libertà nel 2015 dopo 20 anni dietro le sbarre e arrestato ancora una volta l’anno scorso, è scattata una nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere. Assieme a lui, con lo stesso provvedimento firmato dal Gip Lirio Conti, è finito in manette anche Mancuso, amministratore dal novembre del 2008 al marzo del 2010 della società Magi, proprietaria delle gelaterie con l’insegna di Brioscià e del Bar Badalamenti, di cui sarebbe stato socio occulto proprio l’anziano uomo d’onore. Gli indagati sono in tutto dieci e oltre ai due arrestati, Mancuso e Micalizzi senior, ce ne sono otto a piede libero: Giuseppe Micalizzi, 43 anni, figlio del capomafia e arrestato con lui lo scorso anno; l’ex moglie di Mancuso, Mariangela Gottuso, di 44 anni, e il fratello di lei, Giovanni Gottuso, di 48; Giuseppa Basile, detta Gisella, di 43 anni, nuova compagna di Mancuso. Ci sono poi Salvatore Blandino, di 26 anni; Maria Assunta Gnoffo, di 45; Giovanni Maggio, di 59; Teresa Sciortino, di 58. Le accuse sono a vario titolo concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione aggravata dal metodo mafioso, trasferimento fraudolento di valori e bancarotta fraudolenta. Il Gip ha anche disposto il sequestro preventivo di beni per un valore di un milione e mezzo di euro nei confronti di Micalizzi e di Mancuso ma anche contro i due Gottuso, che erano subentrati a Mancuso come rappresentanti legali dell’azienda. Secondo l’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Annamaria Picozzi e dal sostituto Federica La Chioma, della Direzione distrettuale antimafia, il crac di Brioscià sarebbe stato pilotato. Micalizzi, pur non avendo alcun ruolo nella compagine societaria, avrebbe impartito disposizioni gestionali e direttive: dall'assunzione e gestione del personale fino alla partecipazione nelle nuove iniziative imprenditoriali legate allo sviluppo e diffusione del brand delle gelaterie. Il legame tra il boss e Mancuso sarebbe stato confermato dai diversi interventi del capomafia per risolvere questioni private dell’imprenditore, nella ricerca di fonti di finanziamento e di nuovi locali per l’apertura di ulteriori punti vendita, oltre «a garantirgli la necessaria protezione rispetto a richieste estorsive avanzate da altri esponenti mafiosi», si legge nell’ordinanza. Ma le casse delle gelaterie sarebbero state continuamente svuotate per assicurare al mandamento di San Lorenzo risorse economiche da destinare anche «al sostentamento dei detenuti e dei loro familiari». Una conduzione che avrebbe inciso notevolmente sulla situazione finanziaria della società poi fallita, dalle cui ceneri sarebbe nata la Mm4480, sigla - osservano gli inquirenti - «in cui non è difficile scorgere un riferimento alle iniziali dei cognomi dei due indagati» principali. Una ditta individuale, la Mm4480, formalmente intestata all’ex dipendente della Magi, Giovanni Maggio, ma di fatto controllata da Mancuso e che aveva dato vita a Sharbat, a sua volta affidata a Giuseppa Basile, detta Gisella, con cui Mancuso aveva intrecciato una relazione ufficiale dal 2021. È la nuova attività commerciale che avrebbe semplicemente sostituito il logo Brioscià con la nuova etichetta. La stessa da cui prende spunto chi ritiene che quel proliferare di aziende fosse funzionale a un disegno mafioso.

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