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Beni confiscati, la Commissione antimafia a Palermo: «Serve una gestione più vicina ai territori»

Per la prima volta si sono riuniti nel capoluogo siciliano i componenti della dell'organismo nazionale e di quello regionale

Per la prima volta si sono riuniti a Palermo i componenti della Commissione antimafia regionale e nazionale. Non esiste ancora una piattaforma digitale che consenta di individuare i beni e dunque assegnarli in maniera trasparente. La gestione dei beni confiscati deve essere più di prossimità, vicina ai territori. Le province della Sicilia sono gestite da un’agenzia che ha sede a Reggio Calabria. Servono luoghi di prossimità come le prefetture ad occuparsene. Questi i temi discussi oggi (19 luglio) all’oratorio Sant’Elena e Costantino all’incontro organizzato dal Pd proprio sulla gestione dei beni confiscati alla mafia.

«Il 19 luglio è uno dei giorni più importanti del calendario laico e civile di questa terra – dice Antonello Cracolici, presidente della Commissione antimafia all’Ars - come il 23 maggio, il 30 aprile, il gennaio, il 6 agosto. Sono giornate di memoria e la memoria ci ricorda che la mafia è ancora forte. Queste giornate inevitabilmente ci portano a ragionare su quegli anni, con le giuste richieste di verità, a partire dalle stragi sulle quali ancora oggi permangono punti oscuri e depistaggi acclarati dall’autorità giudiziaria. Nello stesso tempo noi abbiamo un dovere: capire cosa è la mafia oggi, come si organizza, come agisce nella società, come è in grado di determinare nuove alleanze e nuovi sistemi di potere. Ci sono ingenti risorse che circolano grazie al traffico della droga».

Cracolici sottolinea il fatto che mai come in questo momento in Sicilia siano diffusi l’uso e la vendita di ogni tipo di droga: «Si accumulano ingenti capitali – continua il presidente della commissione Antimafia -. La filiera della gestione della droga investe anche in settori non mafiosi ma che inevitabilmente si avvalgono dei benefici di una gestione mafiosa. Questo sta creando nuove dipendenze non solo dalla droga ma anche dai poteri criminali. La corruzione torna a dilagare in maniera preoccupante e in tutto questo c’è una grande disattenzione e sottovalutazione con un dibattito che spesso è portato a smantellare gli strumenti di contrasto, a rimetterli in discussione senza individuare nuovi strumenti per combattere la mafia di oggi, il loro patrimonio, le loro ricchezze. E’ questa la sfida che vogliamo lanciare quando parliamo di beni confiscati. Dobbiamo superare lentezza e burocrazie che stanno devastando la credibilità su questo terreno. La Sicilia da sola ha il 40% dei beni confiscati in Italia e non possiamo permetterci una gestione affidata a qualche burocrate».

Dall’incontro è emerso che non esiste ancora una piattaforma digitale che consenta di individuare i beni e di conseguenza assegnarli in maniera trasparente.

«La gestione dei beni confiscati deve essere più di prossimità - sono d’accordo su questo i componenti della commissione Antimafia regionale e nazionale -. La gestione dei beni confiscati deve essere più di prossimità, vicina ai territori. Non si può accettare che le province della Sicilia siano gestite da un’agenzia che ha sede a Reggio Calabria. Servono luoghi di prossimità come le prefetture».

Seduto nelle prime file anche Vito Lo Monaco, presidente emerito del Centro studi Pio La Torre. Anche per lui «la gestione dei beni confiscati non funziona bene. Serve personale specializzato – dice - con il coinvolgimento delle forze sociali affinché si costruiscano strutture per una gestione diversa».

Della stessa opinione l’attuale presidente del Centro studi Pio La Torre, Emilio Miceli: «Noi oggi abbiamo bisogno di avere un’agenzia pubblica che prenda in carico tutte le aziende che vengono sequestrate. Ci sono migliaia di lavoratori dietro che aspettano si dia una governance, un indirizzo, che si facciano degli investimenti. Bisogna fare dei beni confiscati alla mafia un uso più consono perché il primo obiettivo deve essere quello di reinvestire i soldi che provengono dall’economia illegale».

Nel video parlano Antonello Cracolici, Vito Lo Monaco ed Emilio Miceli

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