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Palermo, indagini chiuse sulla cosca di Brancaccio: rischiano il processo anche tre commercianti che avevano negato di pagare il pizzo

L'operazione della polizia fu decisa subito dopo l'omicidio di Giancarlo Romano, figura in ascesa nella «famiglia» di corso dei Mille

«Il pizzo? Mai avuto richieste, né consegnato denaro agli esattori», avevano dichiarato agli investigatori. Ma adesso tre commercianti rischiano di finire a processo assieme a capi e gregari che controllavano il racket delle estorsioni nella zona di corso dei Mille, allo Sperone e in via Messina Marine, a Palermo. Il procuratore aggiunto Marzia Sabella e i sostituti Francesca Mazzocco, Gaspare Spedale e Giacomo Brandini, hanno notificato l’avviso di conclusione delle indagini e, a breve, potrebbe chiedere il rinvio a giudizio per 15 persone coinvolte nel blitz del marzo scorso che aveva decapitato i vertici del mandamento di Brancaccio.

A negare la «messa a posto» erano stati Stefano Anzelmo, il gestore del bar Macao di via Sperone, Salvatore Messina, titolare dell’omonimo bar tabacchi di via Messina Marine, e Giuseppe Lo Negro, titolare del ristorante Antichi sapori palermitani, sempre di via Messina Marine. Gli ultimi due sono già imputati nel processo contro i 31 esercenti di Brancaccio che avevano giurato di non avere mai avuto niente a che fare con il pizzo. L’inchiesta aveva squarciato il velo su uno spaccato desolante, svelando anche che il proprietario di una ditta di autodemolizioni aveva chiesto scusa perché non non aveva riconosciuto gli esattori del pizzo e non si era messo a disposizione. E che, in corso dei Mille, c’era una farmacia dove era meglio non andare perché erano tutti «carabinieri» e «Addiopizzo», visto che avevano installato alcune telecamere per «fare la trappola» agli estorsori.

La chiusura delle indagini è arrivata pure per Giuseppe Arduino, ritenuto il reggente della famiglia mafiosa di Brancaccio, Vincenzo Vella, Sebastiano Giordano, Settimo Turturella, Alessio Salvo Caruso e Giuseppe Chiarello, finiti in carcere con l’accusa di aver fatto parte della famiglia mafiosa di corso dei Mille, e Damiano Corrao, Francesco Farina, Giovanni Iannitello, Giulio Matranga, Antonio Mazzè e Francesco Lombardo.

Era stato l’omicidio di Giancarlo Romano a fare scattare l’operazione della polizia: da almeno due anni gli agenti tenevano d’occhio l’astro nascente della famiglia mafiosa di corso dei Mille. Prima di intervenire, volevano scavare ancora più a fondo sugli affari del clan, che controllava i canali di approvvigionamento della droga e le piazze di spaccio, ma anche il business delle auto rubate con il metodo del cosiddetto «cavallo di ritorno» e il giro delle scommesse clandestine. Proprio in quest’ultimo contesto era nato l’omicidio di Romano, ucciso il 26 febbraio 2024 in una sparatoria in via XXVII Maggio, mentre Alessio Salvo Caruso era sopravvissuto, dopo essere stato sottoposto ad un delicato intervento chirurgico all’addome. Il movente del delitto sarebbe stato legato a un cospicuo debito che Camillo e Pietro Mira – padre e figlio - avevano contratto con Caruso per l’uso dei pannelli online su cui vengono visualizzate le quote degli eventi sportivi e delle macchinette per il gioco d’azzardo.

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