Via bigliettini e fotografie: cominciano le prime verifiche sulla stabilità dell’albero Falcone, a Palermo. La pianta, ormai simbolo assoluto della lotta alla mafia, è adesso spoglia di tutti i cimeli che negli anni più e meno giovani hanno lasciato in omaggio al giudice Giovanni Falcone e degli altri eroi caduti nella guerra a cosa nostra.
Tolti e consegnati alla fondazione Falcone, adesso in via Notarbartolo 23 il tronco del ficus è rimasto nudo: l’idea è quella di arrecare il minor danno possibile alla pianta, mentre tecnici ed agronomi porteranno avanti il loro lavoro. Luogo di pellegrinaggio laico, ogni giorno sotto le fronde dell’albero arrivano turisti e scolaresche da tutto il mondo e la Sicilia.
La speranza è che tutto volga per il meglio e che la città non perda uno «dei simboli del risveglio delle coscienze», sottolinea Marcello Dell’Oglio, storico portiere dello stabile in cui visse il giudice. «Non lo dico io - prosegue - ma lo testimoniano tutte le persone che giornalmente vengono qui, a lasciare pensieri e fotografie. L’augurio è di mantenere l’albero Falcone, di preservarlo il più a lungo possibile». Sotto le fronde anche una scolaresca, giunta dalla provincia di Agrigento. Per l’istituto Don Bosco di Naro e i suoi ragazzi, la gita è il culmine di un percorso: «Un progetto sulla legalità - spiega il docente Andrea Marotta - sul quale abbiamo lavorato tutto l’anno. Ed oggi siamo qui a Palermo per visitare i luoghi della legalità: prima tappa l’Albero Falcone». Per i ragazzi un momento molto speciale: nel giardino antistante la scuola, infatti, è stata piantata lo scorso anno una talea dell’albero, «per educarli alla correttezza, alla saggezza e alla legalità - prosegue Marotta - la speranza è che viva. Non è la pianta a portare alla memoria gli insegnamenti del giudice e la storia, sia chiaro, ma è un simbolo importante: qui ogni anno si passa il testimone della memoria al futuro della nostra terra».
Parlano nel video Marcello Dell'Oglio, portiere dello stabile, Andrea Marotta, insegnante della scuola Don Bosco di Naro, e Giovanni Bellavia.
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